«Criminal Minds? È violento, lo lascio»

Patinkin abbandona il poliziotto Gideon

Non si rassegna neanche il doppiatore, Stefano De Sando. A Jason Gideon, carismatico capo dell'Unità di analisi comportamentale di Criminal Minds incarnato da Mandy Patinkin, s'era proprio affezionato. Quasi più del Tony Soprano dell'omonima serie. Tanto da conservare in un taccuino alcune delle penetranti citazioni che chiudono ogni episodio. La notizia è che, con l'avvio della terza stagione, stasera su Sky-Fox Crime alle 21, Gideon molla la famosa squadra di stanza a Quantico, l'Accademia dell'Fbi, per dissensi legati alla brutalità crescente delle storie narrate. «Ho combattuto sin dall'inizio per non avere solo bambini uccisi, serial killer, donne stuprate. Non era per questo che avevo firmato», ha spiegato l'attore-cantante, classe 1952, ebreo praticante, due figli, uno dei quali si chiama proprio Gideon. Interprete negli anni Ottanta di film anche importanti, come Ragtime, Yentl e Daniel, Mandel Bruce Patinkin non chiedeva più soldi o cose del genere: semplicemente ha preferito chiudere con un programma, pure intelligente e di successo, vissuto emotivamente con crescente disagio, a causa delle continue iniezioni di violenza elaborate dagli sceneggiatori. «Purtroppo questo è ciò che vuole il pubblico, in tutto il mondo», è stata la sua amara riflessione, prima di andarsene quasi senza preavviso.
Tranquilli, però: nei due episodi di stasera, Dubbio, ambientato in un college femminile in Arizona, e Nel nome del sangue, con l'azione che si sposta a Milwaukee, il mitico Gideon si vedrà ancora. Ma sarà il canto del cigno. Da giovedì prossimo al suo posto i fan della serie troveranno Joe Mantegna, che, col nome di David Rossi, ha degnamente rimpiazzato il criminal profiler in crisi. Nessuna sorpresa, invece, per chi segue Criminal Minds su Raidue, la domenica sera, dopo Ncis: vanno in onda le repliche della prima stagione.
Naturalmente non sarà facile digerire l'uscita di scena di Gideon, perché Patinkin, attore denso e misurato, non nuovo a personaggi amati dal pubblico statunitense (il medico di Chicago Hope), aveva saputo conferirgli un'autorevolezza speciale, all'insegna di una lucida malinconica. La forza della serie deriva infatti dal perfetto mix di ferocia e psicologia, con deragliamenti vari dei sette analisti sul piano personale, messo a punto dagli autori. Più che in serie pur belle come Csi, Cold Case o Senza traccia, qui i «buoni» devono confrontarsi con abissi mentali impensabili, nel tentativo di salvare, spesso sul filo dei secondi, la vittima designata.

Spettacolo puro? Certo, ma talvolta emerge dall'orrore un senso di pietas ben resa dal meditabondo Gideon. Uno che cita Orwell, Lucrezio, Ionesco, Confucio, anche la scrittrice Harriet Beecher Stowe: «Le lacrime più amare versate sulle tombe sono per le parole inespresse, per le azioni mai compiute». Già.

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