La crisi affossa i leader E ora Obama ammette: «Rielezione? Sarà dura»

«It’s the economy, stupid». È la crisi. E fa tremare anche i grandi. Nel lontano 1992 regalò la Casa Bianca a Bill Clinton - lo slogan, ormai diventato un mantra, appeso nel quartier generale dell’allora candidato democratico - oggi è la causa del crollo di popolarità di alcuni dei leader di maggior successo della scena politica internazionale, che dovranno affrontare la sfida finale delle urne tra il 2012 e il 2013.
«La mia rielezione sarà dura: l’economia sta uscendo da una recessione mondiale e la gente è comprensibilmente arrabbiata», ha dovuto ammettere ieri Barack Obama, il presidente dei grandi sogni e delle sfavillanti aspettative. Lo ha fatto durante una cena elettorale e anche se è probabile che il leader democratico abbia approfittato della circostanza - e del pretesto economico - per esortare i suoi a una nuova mobilitazione in vista delle presidenziali del 2012, è certo che il presidente da tempo non dorme sonni tranquilli e teme il grande banco di prova elettorale. Il 57% degli americani non condivide la gestione dell’economia del capo della Casa Bianca - ha svelato l’ultimo sondaggio del New York Times - e il tasso di disapprovazione nei confronti de presidente è salito al 50%. Schiacciato fra i due estremi, da una parte gli «indignados» made in Usa - che ieri marciavano nuovamente per le strade di New York e presto batteranno quelle di Washington, Boston e Los Angeles, con i loro slogan anticapitalisti contro banche e gruppi finanziari - e dall’altra gli ultraconservatori liberal dei Tea Party anti-tasse, il presidente avrà parecchio filo da torcere in questi 14 mesi che lo dividono dal voto. Nuove misure per la riduzione del deficit e del debito e il nuovo piano per l’occupazione saranno al centro del suo lavoro, decisivi per giudicarne l’operato nel 2012 e a forte rischio impopolarità.
Trema Obama, ma tremano anche - per le stesse e altre ragioni, in vista delle prossime elezioni - Nicolas Sarkozy e Angela Merkel mentre José Luis Zapatero, dopo aver fatto registrare alla Spagna il record di disoccupazione in Europa (21% con picchi del 45% fra i giovani) ha dovuto annunciare l’uscita di scena anticipata e addirittura l’addio alla politica attiva per dare qualche speranza nelle elezioni di novembre ai socialisti spagnoli (il cui nuovo leader Rubalcaba si trova però oltre 14 punti indietro rispetto al candidato del Pp Rajoy, che potrebbe così strappare la maggioranza assoluta). Due settimane fa l’ultimo atto: il ripristino della patrimoniale, in via «eccezionale», per soli due anni.
Guai su guai anche per monsieur le président. Iperattivo sulla scena europea, al fianco della Merkel per affrontare la crisi del debito sovrano europeo, Sarkozy è nella bufera non solo per il piano di rigore che deve far quadrare i conti francesi. A sette mesi dal voto, il presidente si trova con un Senato «rosso», da qualche giorno a maggioranza assoluta socialista dopo oltre cinquant’anni e da ieri guidato dall’ex trotzkista Jean-Pierre Bel. La virata della Camera alta parigina è il segno di un’inesorabile ascesa della gauche nelle amministrazioni locali, probabile preludio di una vittoria alle presidenziali di primavera, secondo i sondaggi che raccontano la voglia del 56% dei francesi di avere un socialista all’Eliseo. Con gli scandali giudiziari che pesano sull’immagine del presidente - dal caso Bettencourt a quello Karachi, entrambi per tangenti - l’accusa di aver fatto spiare alcuni giornalisti ingombranti, il leader dell’Ump è considerato ormai un problema anche all’interno del partito, lacerato tra il desiderio di un passo indietro del presidente e il timore di un cambio di leadership a così poco dal voto. Così la destra si spacca. In concorrenza con il Front National di Marine Le Pen, una quarantina di deputati dell’ala destra dell’Ump, ha deciso di costituirsi in movimento politico, aprendosi alle adesioni dirette dei cittadini e cercando di captare il voto di chi vorrebbe politiche più aggressive da parte del presidente.
E che dire di Angela Merkel? Anche la Cancelliera sembra aver perso il suo tocco dorato. L’avanzata inesorabile dei Verdi l’ha costretta a molte virate - compresa la chiusura delle centrali nucleari - la sua Cdu registra una sconfitta dopo l’altra alle amministrative (quattro su sei solo alle regionali di quest’anno), gli alleati di governo, i liberali, vanno verso una disfatta (alle elezioni a sindaco di Berlino sono scesi all’1,8%) mentre l’83% dei tedeschi si dichiara insoddisfatto del lavoro della nuova «Iron Lady» d’Europa. Il banco di prova per la leader cristiano-democratica è più lontano - le elezioni non saranno prima del 2013 - ma se si votasse, a strappare la maggioranza assoluta sarebbe un’alleanza tra verdi e socialdemocratici. Tempi durissimi anche per la ormai ex Cancelliera di ferro.

Tutt’altra vita rispetto alla first lady francese, madame Bruni-Sarkozy, che sibillina, lancia la bomba e nasconde la mano: «Mio marito? Non so se farà campagna elettorale», ha detto a Madame Figaro. Cioè non è certo che si ricandiderà. Forse penserà al bimbo in arrivo a ottobre. In piena austerity. «Un figlio in tempi di crisi? Una felice incoscienza».

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