Per Marcello Dell'Utri la fine di un incubo durato anni è a un passo. Arrivata al vaglio della Cassazione, l'ultima teoria elaborata dalla Procura di Palermo contro l'ex senatore di Forza Italia va a sbattere non solo contro la linea dei suoi difensori ma anche contro la posizione della Procura generale: che questa mattina chiede di confermare integralmente l'assoluzione incassata un anno e mezzo fa nel cosiddetto processo "Stato Mafia". Accusato dai pm siciliani di essere stato l'anello di congiunzione tra il governo e Cosa Nostra nella trattativa per porre fine alla stagione delle stragi, Dell'Utri si era visto condannare in primo grado a dodici anni di carcere.
L'accusa si era sgretolata nel processo d'appello, in cui si era accertato che non c'era alcuna prova che Dell'Utri avesse recapitato al premier dell'epoca, Silvio Berlusconi, richieste o minacce dei clan: ma gli inquirenti palermitani non si erano arresi e avevano presentato ricorso in Cassazione. Oggi, in apertura dell'udienza decisiva, la mossa a sorpresa della Procura generale: che smentisce platealmente il lavoro dei colleghi siciliani, chiede di rigettare il loro ricorso e di rendere definitiva l'assoluzione. Ora la parola passa alle difese, poi i giudici si ritireranno in camera di consiglio. Ma a questo punto sarebbe eclatante che l'impugnazione venisse accolta. La esistenza della trattativa, ha detto il pg, "è desunta indiziariamente" e "in modo congetturale".
Meno garantista si mostra nella stessa udienza la Procura generale nei confronti di altri imputati eccellenti, anch'essi assolti in appello: sono gli alti ufficiali dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, all'epoca tutti in forza al Raggruppamento operativo speciale dell'Arma. In pratica erano i vertici dell'apparato dello Stato in campo contro la Cupola, protagonista di imprese storiche come la cattura di Totò Riina. La Procura di Palermo li aveva ringraziati incriminandoli in blocco, sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti e di ricostruzioni ipotetiche dei mesi terribili tra il 1992 e il 1993. Condannati anche loro in primo grado, i carabinieri si erano visti assolvere in appello: "Nulla osta a riconoscere - era scritto nella sentenza - che i carabinieri abbiano agito avendo effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all'escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva piu' che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati, con il conseguente corredo di danni in termini di distruzioni, sovvertimento dell'ordine e della sicurezza pubblica e soprattutto vite umane".
Ma ora la procura generale chiede che quella sentenza venga azzerata, e i tre ufficiali siano sottoposti a un nuovo processo d'appello, ennesima puntata di una sofferenza giudiziaria che si trascina da decenni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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