"Paghi 148 milioni": maxi condanna a Rudy Giuliani per diffamazione

Rudolph Giuliani costretto a risarcire le due donne oggetto della falsa accusa di manomissione dei voti in Georgia: "una condanna a morte", secondo il suo avvocato

"Paghi 148 milioni": maxi condanna a Rudy Giuliani per diffamazione
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L'ex avvocato di Donald Trump, Rudolph Giuliani, è stato condannato al pagamento di 148 milioni di dollari di risarcimento nella causa avviata da due donne, accusate falsamente di aver manomesso la raccolta dei voti in Georgia durante le elezioni nel 2020. La corte federale di Washington ha riconosciuto che Giuliani deve a due persone, Ruby Freeman e Wandrea ArShaye Moss, ex lavoratrici addette alla conta dei voti, 73 milioni di dollari per risarcire i danni alla reputazione e lo choc emotivo che le sue accuse avevano provocato. In più il giudice ha stabilito altri 75 milioni di dollari come sanzione per la condotta scorretta. I legali delle due donne avevano chiesto un risarcimento di 24 milioni di dollari l'una.

Nel frattempo, il processo a Trump e agli altri coinvolti resta in stand by, sebbene il procuratore di Fulton Fani Willis stia combattendo una vera battaglia dal foro per respingere l'ipotesi di sospendere il processo, solo perchè Trump è candidato alla presidenza. Willis chiede, infatti, una data per il mese di agosto, che porterebbe il candidato alla nomination presidenziale a difendersi in tribunale nelle stesse settimane, e perfino nei giorni che precedono le elezioni generali.

La testimonianza delle due donne: come Giuliani ha montato un caso dal nulla

Entrambe le donne avevano riportato in aula quanto hanno dovuto subire in conseguenza delle false accuse. Moss ha raccontato di essere stata raggiunta da migliaia di messaggi minatori e minacce tanto da non riuscire più a uscire di casa, soffrendo di attacchi di panico. Stessa sorte per Freeman, sua madre, oggetto di insulti razzisti dopo che nel 2020, con le sue accuse, Giuliani aveva contribuito a montare il caso Georgia e la conseguente teoria cospirativa. Le donne hanno raccontato di essere state avvicinate nella stessa notte elettorale, credendo di ricevere dei complimenti per il lavoro svolto. Solo dopo si sarebbero accorte di essere al centro di false accuse, all'interno della più complessa notte elettorale del 2020.

All'indomani dalle prime accuse, avrebbero cercato di recuperare un po' di anonimato, anche con un cambio look, ma sarebbero state intercettate telefonicamente per via di uno smartphone utilizzato dal figlio di Moss per delle lezioni online. Da lì sarebbero iniziate delle operazioni di disturbo, trasformatesi in vere e proprie minacce. Le due donne, infatti, hanno raccontato di temere spesso per la propria vita o di essere oggetto di un pretestuoso "arresto da privato cittadino", una fattispecie giuridica molto diffusa negli Stati Uniti, che spesso spalanca le porte al farsi giustizia da sè.

Giuliani non ci sta: "una condanna a morte"

Ma Giuliani non ci sta e, attraverso il suo legale Joseph Sibley, sostiene che risarcire le due donne equivale a scontare una "condanna a morte". Quest'ultimo ha riconosciuto che le due donne sarebbero state oggetto di persecuzioni, ma ribadisce che il responsabile non sarebbe il suo assistito. Giuliani, alle prese con problemi economici da tempo, uscirebbe distrutto da questo risarcimento, secondo il suo difensore: "Se darete loro ciò che chiedono, sarà la fine del signor Giuliani", ha tuonato.

Lo scorso febbraio, un gran giurì nella contea di Fulton, Georgia, aveva ordinato la diffusione di alcuni stralci del rapporto che descrive i risultati dell'indagine sulla presunta interferenza dell'ex presidente Donald Trump e dei suoi alleati nelle elezioni come parte di un più ampio piano per ribaltare i risultati delle presidenziali del 2020. Il rapporto indicava che il gran giurì ritiene che uno o più testimoni possano aver commesso falsa testimonianza nelle loro deposizioni e raccomandava ai pubblici ministeri di perseguire le accuse contro di loro.

Le indagini restano comunque concentrate sulla telefonata che Trump avrebbe fatto a Brad Raffensperger, segretario di Stato repubblicano della Georgia, il 2 gennaio 2021, nella quale chiedeva di “trovare i voti necessari” a vincere nel suo Stato; ma anche su una lettera, nella quale l’ex presidente chiedeva di de-certificare il risultato elettorale locale per agevlare la sua scalta verso la Casa Bianca.

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