Nuova battaglia della Cina: al bando gli abiti che feriscono la nazione

La proposta di legge prevede multe e massimo 15 giorni di detenzione. Impazza la polemica sui social e tra gli esperti di diritto

Nuova battaglia della Cina: al bando gli abiti che feriscono la nazione
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Nella Cina di Xi Jinping, un vestito potrebbe far finire dietro le sbarre. Una nuova bozza di legge, riportata dal Global Times, prevede una multa fino a 5mila yuan (circa 637 euro) e un massimo di 15 giorni in carcere per chiunque indossi o costringa a indossare abiti che “feriscono lo spirito nazionale cinese o il sentimento nazionale”. Vengono presi di mira anche articoli o dichiarazioni che “infangano o negano lo spirito e le azioni di eroi e martiri o glorificano le guerre di invasione”.

Il provvedimento ha generato scalpore e il dibattito si è acceso sui social cinesi e tra gli esperti di diritto. La Bbc riporta il commento di un utente di Weibo, una piattaforma simile a Twitter: “Conta anche indossare giacca e cravatta? Anche il marxismo è nato in Occidente. La sua presenza in Cina può essere considerata un’offesa al sentimento nazionale?”.

Professori di giurisprudenza e avvocati hanno espresso le loro perplessità legate in particolare alla formulazione vaga della legge, che potrebbe portare ad abusi. “Cosa succede se chi applica la legge, di solito un agente di polizia, ha un’interpretazione personale di ciò che può ferire lo spirito nazionale e avvia un giudizio morale sugli altri al di là dell’ambito della legge?”, si chiede Zhao Hong, docente dell’Università cinese di scienze politiche e legge. In un suo articolo, pubblicato mercoledì 6 settembre, cita un episodio molto controverso avvenuto lo scorso anno: l’arresto di una donna nella città di Suzhou, accusata di “comportamenti litigiosi e problematici” per avere indosso un kimono, abito tradizionale giapponese.

Vi sono altri esempi del pugno duro delle autorità cinesi contro abiti “controversi”, come la detenzione di una donna nel marzo 2023 perché vestita con la replica di un’uniforme dell’esercito nipponico, o il divieto d’ingresso al concerto di agosto a Pechino della cantante taiwanese Chang Hui-mei per chi indossava capi d’abbigliamento con fantasie arcobaleno. “Indossare un kimono significa ferire i sentimenti della nazione cinese? Mangiare cibo giapponese significa mettere a repentaglio il suo spirito?”, scrive in rete un popolare opinionista con lo pseudonimo Wang Wusi. “Quando sono diventati così fragili i sentimenti e lo spirito della nazione cinese, ormai consolidata da tempo?”.

La proposta di legge è solo l’ultimo esempio dell’azione moralizzatrice avviata da Xi Jinping fin dalla sua ascesa al vertice della

Repubblica popolare. Per fare un esempio, è del 2019 una serie di “linee guida morali”, che comprendono comportamenti come l’essere gentili ed educati, viaggiare inquinando poco e avere fede nel presidente e nel partito.

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