Alessia Pifferi è "capace di intendere e volere". Cosa rischia

La 38enne è accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi. La perizia psichiatrica disposta dalla Corte d'Assise di Milano ha stabilito che la donna è in grado di stare a processo

Alessia Pifferi è "capace di intendere e volere". Cosa rischia
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Alessia Pifferi "è capace di partecipare coscientemente al processo" e "al momento dei fatti era capace di intendere e di volere". Lo scrive lo psichiatra forense di Torino Elvezio Pirfo nelle 126 pagine di perizia psichiatrica sulla 38enne, accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di 18 mesi, abbandonandola in casa per una settimana a luglio 2022. Secondo l'esperto l'imputata "avrebbe preferito assecondare i suoi bisogni di donna e non i suoi doveri di madre, poiché ella sente e vive come prevalente la donna rispetto alla madre".

L'ipotesi del deficit cognitivo

Ad ottobre lo psichiatra Marco Garbarini, consulente del difensore della Pifferi, l'avvocato Alessia Pontenani aveva ipotizzato un "deficit di sviluppo intellettivo di grado moderato". Conclusioni che il perito aveva elaborato sulla scorta di alcuni test psicologici a cui la 38enne era stata sottoposta in carcere e in base a precedenti relazioni degli psicologi di San Vittore. Il pm Francesco De Tommasi aveva però contestato l'affidabilità di quei test ritenendo che la donna al processo avesse dato "risposte chiare". "La signora non ha alcun problema mentale - erano state le parole del pubblico ministero - e ha avuto un atteggiamento scellerato nei confronti della figlia". Da qui la necessità di disporre la perizia psichiatrica per accertare "la sussistenza al momento del fatto della capacità di intendere e volere, nonché l'eventuale pericolosità sociale" dell'imputata.

"Test delle psicologhe inattendibile"

Secondo lo pischiatra forense Pirfo, incaricato della perizia dai giudici della prima corte d'assise di Milano, la donna "era capace di intendere e volere al momento del fatto". L'esperto sostiene anche che il monitoraggio e i colloqui fatti dalle due psicologhe del carcere di San Vittore (ora indagate per falso ideologico e favoreggiamento), prima di sottoporre la 38enne al test di Wais, "non è del tutto conforme ai protocolli di riferimento e alle buone prassi in materia di somministrazione di test psicodiagnostici e quindi l'esito del predetto accertamento non può essere ritenuto attendibile e compatibile con le caratteristiche mentali e di personalità dell'imputata per come emergono dagli ulteriori atti del procedimento e dall'osservazione peritale". Inoltre l'imputata "ha utilizzato una modalità comunicativa povera e superficiale ma il linguaggio è stato sovente arricchito di termini e concetti tecnici che possono essere stati 'appresi' nel corso dei colloqui dimostrando quindi capacità di ascolto e comprensione".

Cosa rischia Alessia Pifferi

Nelle pagine conclusive della perizia Pirfo evidenzia come Pifferi "al momento dei fatti ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana e ha anche adottato 'un'intelligenza di condottà viste le motivazioni diverse delle proprie scelte date a persone diverse che richiedevano rassicurazioni sulla collocazione della bambina".

In assenza di un vizio totale o parziale di mente, ora la posizione della 38enne potrebbe aggravarsi. La donna, che è accusata di omicidio pluriaggravato della figlioletta, rischia una condanna all'ergastolo.

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