"Se don Roberto Malgesini potesse parlare, direbbe che c'è un solo modo di guardare il prossimo e quindi anche il suo assassino: con misericordia". Zef Karaci ha 40 anni, di cui 17 anni e mezzo passati in carcere. È qui che una decina di anni fa ha incontrato don Roberto, aiuto cappellano, "prete degli ultimi". Sulla sua figura ha scritto due libri: nell'ultimo dal titolo "Don Roberto Malgesini. Non c'è inizio senza perdono" (Edizioni San Paolo 2023), pubblicato a febbraio di quest'anno, ha raccontato la vita di don Roberto passata a dare aiuto concreto alle persone più isolate, come i detenuti. Stasera la Cassazione ha confermato la condanna a 25 anni di carcere per Ridha Mahmoudi, il 55enne che il 15 settembre 2020 ha accoltellato a morte il sacerdote. La corte d'Assise d'Appello di Milano ha cancellato l'ergastolo deciso in primo grado per l'imputato, difeso dall'avvocata Sonia Bova. La motivazione: ha confessato di avere acquistato tempo prima l'arma con cui ha accoltellato il don, fornendo elementi utili alla ricostruzione del delitto. Per questo merita le attenuanti generiche, che gli sono valse appunto l'eliminazione del carcere a vita.
Che cosa si sente di dire oggi a Mahmoudi?
"L'ultima volta che l'ho visto è stato qualche giorno dopo il delitto, poco prima di essere trasferito per motivi di sicurezza. Rischiava la vita perché gli altri detenuti erano tutti affezionati a don Malgesini, che per tutti era un amico. Mahmoudi aveva lo sguardo smarrito. Non riuscirò mai a capire quale sia stato il motivo che lo ha spinto a compiere questo gesto".
Che cosa si aspetta dalla giustizia?
"Che faccia il suo corso. Dal punto di vista personale, auguro a Mahmoudi che possa davvero incontrare la luce. Solo così capirà quanto male ha fatto. Solo quando vieni perdonato il tuo cuore si può spalancare alla comprensione. Chi riceve odio continuerà a odiare senza capire".
Chi era don Roberto?
"Era una persona con una capacità di ascolto fuori dal comune. Non ho mai incontrato nessuno come lui. Se vedeva che eri a terra, non ti diceva di alzarti, ma si sedeva di fianco a te e ti dava la mano. Aspettava che avessi voglia di farlo da solo e a quel punto ti sosteneva".
Ci racconti un episodio in particolare che descriva la sua persona.
"All'epoca mi trovavo in carcere, nella sala avvocati insieme ai miei legali, quando sentiamo un gran baccano provenire dal corridoio. Le urla provenivano da due detenuti che erano venuti alle mani. A un certo punto don Malgesini si mette in mezzo per dividerli, ma per tutta risposta riceve un pugno in pancia da uno di loro. Era piegato dal dolore, quasi non respirava. Quando si è ripreso, ha voluto incontrare quel ragazzo che lo aveva colpito. Ebbene: l'altro piangeva disperato, non faceva altro che chiedergli scusa dicendo che l'aveva fatto apposta. Il don non solo l'ha perdonato, ma ha fatto come se non fosse successo nulla: "Non piangere, è un incubo tutto nella tua testa.".
Di che cosa si occupa lei oggi?
"Dopo 17 anni e mezzo in cella ho scontato la mia pena. Lavoro in una comunità per detenuti nella zona di Ispra, sul lago Maggiore.
Provo ad accogliere gli altri, così come sono stato accolto io. Ho anche scritto questi due libri portando l' esperienza di don Roberto nelle scuole e nelle università. Sento che il suo insegnamento e la sua amicizia arrivano anche ad altri che non l'hanno mai conosciuto. E vive".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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