
Una lite familiare furibonda che si trasforma in un confronto dai contorni del regolamento di conti. Con padre e figlio che finiscono l’uno contro l’altro; il primo, Benedetto, 63 anni, a quel punto impugna una pistola di piccolo calibro e spara, ferendolo al volto, diversi colpi contro il 37enne Gaetano che ha avuto la strampalata idea di raggiungere quel genitore tanto particolare per le vacanze pasquali. Subito dopo però, in preda alla disperazione, l’uomo che ha premuto il grilletto rivolge l’arma contro se stesso e cerca di togliersi la vita. Succede nella zona della Fontine, nel comune di Santa Maria a Monte, in provincia di Pisa. Adesso, mentre il figlio, pur sottoposto a un intervento chirurgico all’ospedale di Pontedera dov’è ricoverato, se la caverà di sicuro, il padre si trova in fin di vita al policlinico Cisanello di Pisa. Un finale davvero ad effetto per quest’uomo che di nome fa Ceraulo. Sì, Benedetto Ceraulo, il killer assoldato da Patrizia Reggiani, che una bella mattina di sole di trent’anni fa, il 27 maggio 1995 a Milano, nell’androne della sua lussuosa e centralissima abitazione di via Palestro 20, esplose tre colpi di pistola (due alla schiena e uno alla tempia, per finirlo) contro Maurizio Gucci. Mentre si stava allontanando Ceraulo rivolse l’arma contro un testimone scomodo, Giuseppe Onorato, il portiere dello stabile: due proiettili trapassarono braccio e spalla del poveretto che fortunatamente però se la cavò. Prima di salire su una Clio verde rimasta parcheggiata in seconda fila, che si allontanò sgommando, il killer urtò una seconda testimone, una giovane impiegata che notò sulla testa dell’uomo un berretto da baseball.
Siciliano di Caltanissetta, Cerauolo venne condannato in primo grado all’ergastolo, quindi in Appello a 28 anni, 11 mesi e 20 giorni. Poi la conferma in Cassazione. Dal 2017 in semilibertà, dopo aver scontato i 28 anni di carcere, era tornato libero da un paio di anni e aveva scelto di vivere solo in un casale a santa Maria a Monte, per l’appunto.
Il killer dell’erede dell’impero di stilisti fiorentini e che all’epoca dell’omicidio aveva 35 anni, per tutta la durata del processo Gucci si è sempre dichiarato innocente; in seguito, una volta uscito dal carcere, non ha mai rilasciato interviste. Prima di risalire a lui e all’ex Lady Gucci, gli investigatori formularono l’ipotesi di una pista internazionale: un presunto debito non saldato in Giappone o un grosso progetto in Svizzera che prevedeva anche l’apertura di un casinò, possibili sicari sauditi rimasti scontenti dal comportamento nella cessione delle quote del Gruppo Gucci che Maurizio nel 1993 aveva venduto per 170 milioni di dollari.
Nel 1972 Maurizio aveva sposato Patrizia Martinelli Reggiani, di quattro anni più giovane, un’unione felice, poi naufragata, dalla quale erano nate le due figlie della coppia, Alessandra e Allegra. Due anni prima di essere ucciso, Gucci aveva iniziato una relazione con un’altra donna, Paola Franchi. Patrizia, che non nascondeva la gelosia e il rancore per l’ex coniuge, ossessionata e disposta a tutto pur di non perdere lo status di «signora Gucci» (così venne descritta durante il processo) e i relativi privilegi a favore della nuova compagna di Maurizio, cominciò a chiedere in giro se qualcuno fosse disposto a far fuori l’ormai ex marito.
Dopo il delitto gli investigatori iniziano a sospettare di lei solo dopo una «soffiata» che indirizzò definitivamente le indagini della Criminalpol e del sostituto procuratore Carlo Nocerino. Un uomo di nome Gabriele, che viveva espedienti e dorme in un hotel a una sola stella a Città Studi, era diventato amico del portiere, Ivano Savioni. Che una sera di giugno del 1996 si confiderà con lui raccontandogli di avere preso parte all’omicidio di Maurizio Gucci per il quale aveva ricevuto 50 milioni dalla vedova. «Pochi, troppo pochi» si lamenta. Gabriele lo ascolta attentamente. E circa sei mesi più tardi, nel gennaio 1997, telefona a Filippo Ninni, allora dirigente della Criminalpol lombarda. I due s’incontrano. Il testimone racconta le confidenze del portiere, particolari che soltanto gli autori dell’omicidio o i loro complici possono conoscere. Ninni decide allora di affiancare al confidente un suo ispettore che si fingerà Carlos, rappresentante di un «cartello» dei narcos colombiani.
I giornali intanto pubblicano la notizia che il pm Nocerino, titolare dell’inchiesta sull’omicidio Gucci, ha chiesto una nuova proroga delle indagini. E la banda che poi si scoprirà sta dietro il delitto Gucci, inizia a tremare. Viene intercettata una telefonata fra Savioni e Giuseppina «Pina» Auriemma, 51 anni, maga napoletana, amica e confidente di Patrizia Reggiani. La donna è preoccupata: So’ svenuta in coppa a o' giurnale quando ho letto che l’inchiesta prosegue; Savioni la rincuora. «Dammi retta: se non facciamo qualche cazzata, non ci piglieranno mai» dice la sensitiva, ormai tranquillizzata.
Il finto Carlos viene presentato da Gabriele come un trafficante di droga e un killer professionista con alle spalle un centinaio di omicidi. Sembra davvero l’uomo adatto per risolvere la questione con la Reggiani che «non ha pagato abbastanza». La trappola funziona. Savioni è entusiasta dell’incontro al punto da prestare al falso trafficante l’auto, che in questura viene imbottita di microspie. Nel frattempo, oltre a quelli di Patrizia Raggiani, sono stati messi sotto controllo i telefoni della maga Pina, ma anche quello dell’autore materiale del delitto, Benedetto Ceraulo e di un altro siciliano della banda, Orazio Cicala, che al killer la mattina dell’omicidio ha fatto da autista. Il 24 gennaio 1997 il portiere e Carlos s’incontrano per la seconda volta e all’alba del 31 gennaio la Criminalpol arresta Patrizia Reggiani per omicidio volontario premeditato.
In manette con lei anche Ceraulo, Cicala, la Auriemma, accusata di avere organizzato l’omicidio su mandato di Patrizia, e Ivano Savioni, amico dell’Auriemma, che avrebbe arruolato la batteria e trattato con la Reggiani un compenso di 600 milioni di lire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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