Sembrava sparita nel nulla, Giulia Tramontano. Di lei non c'era nessuna traccia - niente chiamate, messaggi, nessuno che l'avesse vista passare - fino a ieri. É stato quando hanno trovato con il Luminol tracce di sangue appartenenti alla giovane 29enne, incinta al settimo mese, nel bagagliaio dell'auto di Alessandro Impagnatiello, che gli investigatori della squadra omicidi dei carabinieri non hanno più avuto dubbi. Un elemento schiacciante, che ha portato il 30enne, barista in alcuni hotel di lusso a Milano, a confessare l'omicidio avvenuto sabato notte. "L'ho uccisa io, l'ho accoltellata con un paio di fendenti, ho provato a bruciare il corpo. Ho fatto tutto da solo", ha detto agli investigatori e alla pm Alessia Menegazzo. Ma ancora una volta non viene creduto e adesso l'indagine ha come fulcro la ricerca di un complice che potrebbe averlo aiutato a occultare il corpo. É stato lo stesso 30enne a indicare il luogo in cui era nascosta la povera ragazza: una intercapedine in un box a qualche centinaio di metri dalla casa in cui vivevano insieme e in cui sarebbe cresciuto il loro primo figlio.
Un errore per il 30enne, insieme alle incongruenze delle versioni sulla scomparsa della ragazza. A partire dalla denuncia di domenica quando, rientrato dal lavoro, ha fatto sapere che non c'erano tracce della sua compagna. Ha detto che aveva portato con sé un bancomat (mai utilizzato in questi giorni), 500 euro in contanti, il passaporto: tutti elementi che, secondo le sue intenzioni, avrebbero potuto portare a un allontanamento volontario.
Gli investigatori non gli hanno creduto dal principio, anche perché i genitori della ragazza hanno parlato di un grosso litigio della coppia proprio qualche ora prima della scomparsa. Il motivo? La relazione parallela di Impagnatiello con un'altra donna: una collega barista statunitense che era rimasta incinta e che però, dopo un paio di mesi, ha deciso di interrompere la gravidanza.
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