Poteva aspettare un attimo, Papa Francesco. Poteva aspettare il trigesimo, questo bellissimo uso cattolico che consente di rimeditare opere e persone, a mente ovviamente più fredda, trenta giorni dopo un lutto, poteva aspettare fine mese per rispondere a Padre Georg che dopo la morte di Ratzinger ha fatto sapere al mondo quanto sia spigolosa, per non dire spietata, la misericordia di Bergoglio. Forse poteva aspettare il trigesimo anche per varare la riforma del Vicariato di Roma, gesto muscolare che profuma di politica, e di una politica piuttosto autoritaria. Ovvio che la diocesi della Capitale sia molto importante ma se dalla «Ecclesia in Urbe» di Giovanni Paolo II (la riforma precedente) sono passati 25 anni si intuisce che potevano anche passare 25 anni e 1 mese, non sarebbe morto nessuno, il Laterano non sarebbe crollato...
Perché questa fretta improvvisa? È così impaziente Papa Bergoglio che per quanto riguarda una questione ancor più centrale, la liturgia, non ha aspettato nemmeno che l'Emerito morisse: è del 2021 il motu proprio «Traditionis custodes» ed è del giugno scorso la lettera apostolica «Desiderio desideravi», due documenti che al di là dei titoli soavi rappresentano il brusco smantellamento della messa in latino che Benedetto XVI aveva liberalizzato nel 2007 (per sensibilità personale e soprattutto per evitare scismi). E qui una citazione di monsignor Georg Gänswein, tratta dall'intervista al settimanale tedesco Die Tagespost, ci vuole proprio: «Credo che Papa Benedetto abbia letto questo motu proprio (il Traditionis custodes) con il dolore nel cuore».
Conosco bene la materia: questo Natale per evitare schitarrate e sociologia, problemi frequenti nelle messe in italiano, mi sono dovuto cercare col lanternino una messa della Fraternità San Pio X (i cosiddetti lefevriani) i cui preti, al contrario di ciò che alcuni credono, non sono scomunicati e pertanto celebrano validamente. Il problema è che questi preti tradizionalisti e latinisti, utilizzatori del messale preconciliare, sono pochi e spesso per partecipare alle loro funzioni bisogna fare molti chilometri.
Chiudo la parentesi personale e torno a Papa Jorge e a Padre Georg. L'ex segretario di Benedetto XVI doveva starsene zitto, dicono i bergogliani e forse lo ha detto anche Bergoglio se davvero ieri all'Angelus alludeva a lui: «Il Signore s'incontra nell'umiltà e nel silenzio».
Bella cosa il silenzio ma questa gran fretta di mettere a tacere stona con l'esortazione alla parresìa, alla franchezza, altre volte lanciata dal Papa regnante. A meno che non si preferisca tornare alla tetra stagione dei corvi e dei sussurri.
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