Attenti alle parole

Se il quadro delle colpe del conflitto è chiaro, non si può però dire altrettanto delle intenzioni di Kiev. Tra proclami, propaganda e obiettivi nascosti, a Zelensky e ai suoi ogni tanto parte il piede sull'acceleratore

Attenti alle parole

Dubbi sull'importanza di continuare a sostenere l'Ucraina non esistono. Come pure, vista l'assenza di una prospettiva di tregua, sulla necessità di inviare armi a Kiev, dai carri armati ai sistemi missilistici. Anche perché l'Occidente tra un Paese aggressore e uno aggredito che vede messa a rischio la propria indipendenza non può che schierarsi con quest'ultimo. C'è in ballo uno dei principi basilari delle nostre democrazie, il diritto all'autodeterminazione dei popoli. Né sono accettabili le minacce farneticanti che provengono dal Cremlino: non fanno che confermare la bontà della scelta di campo compiuta dagli Stati Uniti e dall'Europa.

Se il quadro delle colpe del conflitto è chiaro, non si può però dire altrettanto delle intenzioni di Kiev. Tra proclami, propaganda e obiettivi nascosti, a Zelensky e ai suoi ogni tanto parte il piede sull'acceleratore. Due giorni fa uno dei suoi consiglieri ha dichiarato che è «inevitabile» che città «degradate e pigre come Mosca, San Pietroburgo, Ekaterinburg» siano attaccate. Ieri Zelensky ha rettificato, ma con questo modo di ragionare non ci siamo. Perché nell'epoca delle armi nucleari, dei «90 secondi» all'apocalisse, è basilare prestare attenzione alle parole che si usano, perché ci vuole un niente per passare dalla ragione al torto. Perché un conto è difendere una nazione, un altro è prestarsi al suo desiderio di vendetta. Se si asseconda una logica del genere, la guerra non avrà mai fine. O meglio, l'epilogo ci sarà quando uno dei due contendenti soccomberà. Solo che, appunto, nell'epoca del nucleare una soluzione del genere non è contemplata. La tragedia prevede solo sconfitti e nessun vincitore.

È un dato da tenere ben presente. Ieri i leader dell'Occidente, a partire da Biden, hanno fatto bene a rimarcare che non ci saranno offensive contro Mosca. Ma non basta. Appoggiare l'Ucraina, fornire armi e finanziamenti, sottoporre i propri popoli a sacrifici come le bollette alle stelle per gli embarghi a Mosca, assicurare una solidarietà democratica ad un Paese aggredito, non significa dare carta bianca a Kiev sul «quando», sul «come» e sul «perché» deve finire il conflitto. L'Occidente deve pretendere di partecipare e dire la sua nel negoziato. Altrimenti non se ne esce o se ne esce male. Anche perché sarebbe la prima volta nella storia che Paesi che intervengono in aiuto di una nazione non hanno voce in capitolo sul modo di condurre e chiudere la guerra. Giustappunto 170 anni fa scoppiò la guerra in Crimea e le potenze europee - dalla Francia all'Inghilterra - intervennero in favore della Turchia contro la Russia. Ebbene anche il piccolo Regno di Sardegna di Cavour inviò un contingente solo per garantirsi un ruolo nel negoziato dopo la sconfitta di Mosca.

Cambiano i tempi, i protagonisti, ma non le regole di un'alleanza in un conflitto.

Motivo per cui è giusto che il presidente Zelensky abbia il nostro appoggio, le nostre armi e magari pure il palco del Festival di Sanremo per cantare una canzone, ma non può pretendere di essere il solo a decidere su una guerra che ormai sempre meno indirettamente coinvolge mezzo mondo.

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