Cambia la cardiochirurgia

La medicina difensiva ha origine dalle migliaia di denunce contro i medici

É tempo di bilanci e di progetti anche per l'apparato cardiovascolare. Ne parliamo con Lorenzo Menicanti, presidente della Società italiana di chirurgia cardiaca (Sicch). «Nell'immaginario delle persone la cardiochirurgia - afferma Menicanti - non è percepita come lo era 20 anni fa: eravamo i medici che regalavano anni di vita ai pazienti ora siamo coloro che tolgono la vita, non contano i risultati. Viviamo in una società effimera dove il lavoro duro non è apprezzato, le regole ancora meno,l'apparire è più importante della sostanza, la morte e la malattia non sono accettate, la salute è un diritto».

Menicanti, dal 1989 come direttore della cardiochirurgia 2, esegue al Policlinico universitario San Donato di Milano (istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) assieme ad Alessandro Frigiola (cardiochirurgia pediatrica) interventi sul cuore considerati pionieristici a livello mondiale. I cardiochirurghi americani vengono in Italia al San Donato per imparare nuove tecniche. Come presidente della Società scientifica italiana Menicanti ha puntato alla riconquista di vitalità, autorevolezza e identità. «Abbiamo voluto il rilancio della dignità e della reputazione dei cardiochirurghi italiani, superando le logiche da Montecchi e Capuleti che sono state condizionanti per anni, come la diatriba che ha contrapposto il mondo universitario a quello ospedaliero. Vladimir Burakowski – ricorda Menicanti - un grandissimo cardiochirurgo russo, capo del Bakulev Institute per più di 20 anni, ha scritto una splendida storia della medicina iniziando con questa definizione: la cardiochirurgia è scienza e non solo, è un modo di vita, una vocazione. Se profonderai tutte le tue energie per perseguire questa professione sarai un chirurgo. Se vi dedicherai metà del tuo essere sarai un mezzo chirurgo».Tutte le volte che entriamo in sala operatoria , anche per l'intervento più semplice, sappiamo -aggiunge Menicanti che è possibile la complicanza, anche se qualche volta lo nascondiamo a noi stessi e la complicanza può avere effetti devastanti. Nel nostro paese il concetto di colleganza, di multidisciplinarietà non è considerato un valore come accade nei paesi anglosassoni. La competizione non è vista come un impegno a migliorare i risultati. In Italia ci sono 92 centri di cardiochirurgia, 40 strutture a direzione ospedaliera, 34 di diritto privato e 18 a direzione universitaria. L'attività è stata nel 2013 di 47mila procedure, 55% effettuate in ambiente ospedaliero, 26% in ambiente accreditato, 17% in ambiente universitario. Il numero delle circolazioni extracorporee è diminuito nel corso degli anni, e nel contempo è risalito il numero delle angioplastiche. Questo è un dato interessante perché nel 2010 le angioplastiche coronariche erano 140mila. Se noi analizziamo quelle primarie vediamo che sono solo 31 mila, 113mila sono quelle in elezione, quindi il dubbio che tra queste vi siano delle procedure inappropriate è molto alto, ed è confortato da pubblicazioni dello stato di New York sulle rivascolarizzazioni chirurgiche e percutanee che dimostrano come solo l'1% dei bypass aortocoronarici effettuati sia inappropriato contro il 14% delle angioplastiche». L'appropriatezza delle indicazioni terapeutiche merita molta attenzione.Altro grosso problema è quello della malpractice. «Il Bollettino Ania del 2014 – ricorda Menicanti -riporta 11 mila denunce contro medici e 20 mila contro istituti.

Da qui nasce il problema della medicina difensiva, che può portare a 5 milioni di esami per riuscire un domani a difendersi in tribunale o al rifiuto del paziente a rischio. Poi, dopo 8-10 anni, il tribunale assolve il chirurgo, ormai distrutto».

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