Le storie di sport, e di calcio in particolare, sono le più belle da raccontare. Dicono tanto dell'uomo (e pure della donna, naturalmente): eroismi, ambizioni, meschinità, trionfi. E follie. Come la storia di Getafe.
Getafe è un paesone fuori Madrid. Lì nacque, campionato 1972-73, il calciatore Alfonso Pérez, per tutti Alfonso. Nella squadra della città in realtà non ha mai giocato, e non è stato nemmeno un fuoriclasse. Un attaccante di medio-alto livello, 38 presenze e 11 gol in nazionale. Comunque, nel '98 la città gli intitola il nuovo stadio: «Coliseum Alfonso Pérez». Tutti felicissimi. Olé!
Fino a ieri. Quando il Consiglio comunale di Getafe e il Getafe Club de Fútbol hanno deciso di rimuovere il nome di Alfonso Pérez, oggi splendido cinquantenne, dallo stadio cittadino, che d'ora in poi si chiamerà solo Coliseum. Motivo: una recente dichiarazione sessista del calciatore, peraltro di buon senso: «Il calcio femminile non può paragonarsi a quello maschile». E poco importa se pensasse alla struttura fisica, agli introiti, all'impatto mediatico. O, come pensiamo noi, alla qualità di gioco.
Non è neppure servito l'autodafé di Alfonso Pérez (l'Inquisizione più spietata fu quella spagnola): «No tenemos nada en contra de las mujeres.
Tengo una madre, una esposa y una hija». Che gioca pure a calcio. Strano: la giunta di Getafe è formata dal Partito operaio e da Podemos: l'ultrasinistra. E il sindaco è una sindaca.Niente da fare. La politica femminista non può paragonarsi a quella maschile.
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