Mettiamola così: il Movimento 5 Stelle, per come lo abbiamo conosciuto fino a ora, non esiste più. I segnali di una imminente implosione, sia chiaro, c'erano tutti. Ma ieri la deflagrazione è stata pirotecnica. Davide Casaleggio è uscito dal gruppo. Che si fosse ampiamente rotto le scatole della sua stessa creatura, lo aveva esplicitato con un lungo post-confessione lo scorso 4 ottobre, nell'anniversario della fondazione del Movimento. Quel giorno, informalmente, aveva messo una lapide sull'esperienza pentastellata per come, utopicamente, l'aveva concepita il padre Gianroberto. Con il post pubblicato ieri su Facebook, nel quale annuncia di non partecipare agli Stati Generali grillini, issa ufficialmente bandiera bianca e fa un passo indietro. Non è cosa da poco: almeno per due motivi.
Il primo: il Movimento nasce da una privatissima intuizione di Gianroberto Casaleggio, veicolata dal megafono Grillo, e cresce e si sviluppa fino a diventare il primo partito, alle elezioni del 2018, grazie alla sua azienda privata. È la Casaleggio Associati a selezionare e formare la prima classe dirigente del partito, ma soprattutto a fornire l'infrastruttura tecnologica che tiene in piedi la baracca. Dal blog di Grillo, agli inizi, a quello delle Stelle, oggi. Ma soprattutto è Casaleggio ad avere le chiavi di Rousseau, la piattaforma che in teoria amministra tutta la vita democratica dei pentastellati. La commistione tra azienda privata e partito pubblico è talmente fitta da risultare inestricabile. Persino i deputati, alla faccia della Costituzione, sono di fatto contrattualizzati dall'azienda e devono rispondere prima ad essa che ai loro elettori. Il ruolo di Casaleggio è talmente politico - oltre che aziendale - da essere determinante, solo per fare un esempio, alla scelta di un oscuro avvocato di provincia come premier: tal Giuseppe Conte. Più di Luigi Di Maio - allora portavoce del Movimento - e ancor più di Beppe Grillo, pesavano la sua approvazione o il suo veto. Tutto questo per spiegare quanto non sia marginale la sua uscita di scena: è come se dalla royal family fosse scappata a gambe levate la regina Elisabetta, non Harry e Meghan.
Il secondo punto: Casaleggio lascia il gruppo perché il gruppo ha cambiato genere musicale. Si possono imputare molte colpe al figlio del fondatore (dallo spirito padronale alla minima propensione alla democrazia interna), ma non lo si può tacciare di incoerenza. Casaleggio molla tutto perché, come era facilmente prevedibile, si è reso conto che i «suoi» parlamentari sono incollati alla poltrona, vogliono derogare al limite dei due mandati, non versano l'obolo a Rousseau, grattano sulle rendicontazioni, accumulano avidamente ogni prebenda, si scannano per uno strapuntino, trescano come i peggiori politici della prima Repubblica. Sono come gli altri. Anzi, peggio: perché hanno portato in Parlamento come fiore l'occhiello - come curriculum - l'incompetenza che, come tutte le cattive abitudini, sarà una piantaccia difficile da estirpare. I grillini non valgono un soldo bucato. Lo ha capito, troppo tardi, perfino Casaleggio jr. Lo hanno già capito molti italiani e ci auguriamo che siano sempre di più. L'unico che ci guadagna è Conte: Casaleggio e Grillo non parleranno agli Stati Generali.
Il presidente del Consiglio si aggirerà, virtualmente, come uno sciacallo tra Crimi e Di Maio, vittime sacrificali di un grillismo che non esiste più. Volevano essere l'apriscatole del sistema e sono finiti ad essere solo un taxi (verso il sistema) per Conte. Che non ha neppure pagato la corsa.
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