La Cassazione rigetta il ricorso: "Carola non andava arrestata"

Respinto il ricorso della procura di Agrigento contro la scarcerazione. E il legale della Rackete attacca Patronaggio: "Porta avanti tesi folli"

La Cassazione rigetta il ricorso: "Carola non andava arrestata"

Sul caso Carola Rackete è arrivata la parola “fine”: anche la Corte di Cassazione ha infatti stabilito che il rilascio della capitana della Sea Watch 3, operato dal gip di Agrigento Alessandra Vella a luglio, era legittimo.

Ma per comprendere il significato di questa decisione della suprema corte, occorre fare un passo indietro ed andare nei caldi giorni tra gli scorsi mesi di giugno e luglio, quando il caso Carola Rackete ha infiammato il dibattito politico ed ha contraddistinto uno degli episodi più importanti nell’ottica della contrapposizione tra l’allora governo gialloverde e le organizzazioni non governative.

A metà giugno del 2019, Carola Rackete era al comando della nave Sea Watch 3, appartenente all’ong tedesca Sea Watch. A bordo dell’imbarcazione erano presenti diversi migranti recuperati non lontano dalle coste libiche. Così come già accaduto in altre occasioni, dal Viminale è arrivato lo stop sia all’ingresso in acque italiane che allo sbarco dei migranti in territorio italiano.

In quel frangente al ministero dell’interno vi era il segretario leghista Matteo Salvini, fautore di una linea politica dal pugno duro contro le ong. È iniziato così un lungo tira e molla, contrassegnato dalla conferma, da parte del Viminale e del governo Conte I, di vietare l’accesso alla Sea Watch 3. Mentre, dall’altro lato, l’organizzazione tedesca ha iniziato il pressing mediatico per chiedere la revoca del divieto.

La svolta è arrivata a fine giugno, quando Carola Rackete ha deciso di forzare il blocco e di entrare in acque italiane. La capitana della Sea Watch 3, in particolare, ha motivato la sua scelta per via delle condizioni a bordo della nave definite “preoccupanti”. Nella notte tra il 28 ed il 29 giugno invece, è avvenuto il fatto più eclatante all’interno di questa lunga ed intricata vicenda: Carola Rackete, giunta in prossimità di Lampedusa, ha forzato il blocco imposto dalle autorità per arrivare al porto dell’isola. Nel farlo, ha speronato con la sua nave una motovedetta della Guardia di Finanza.

Per questo, una volta approdata a Lampedusa, la capitana tedesca è stata arrestata e posta agli arresti domiciliari. Ed è da qui in poi che ha avuto inizio un altro capitolo, concluso poi nelle scorse ore con la sentenza della Cassazione.

Carola Rackete è stata infatti trasferita ad Agrigento per gli interrogatori da parte dei magistrati della città siciliana. Sono state quelle ore molto frenetiche, in cui ben si era intuito come, a prescindere dall’esito degli interrogatori, la vicenda avrebbe avuto comunque dei risvolti anche politici.

Il 2 luglio, in tarda serata ed al limite del tempo massimo previsto per la pronuncia, il Gip del tribunale di Agrigento, Alessandra Vella, ha deciso di scarcerare Carola Rackete. Una decisione che, oltre ad innescare ulteriori dibattiti politici, ha provocato la reazione della stessa procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio. I magistrati, in particolare, hanno fatto ricorso in cassazione contro la scarcerazione.

La Corte però, come detto ad inizio articolo, ha dato ragione al Gip. Le motivazioni della sentenza su Carola Rackete verranno rese note entro 30 giorni.

E saranno importanti non tanto per comprendere la posizione della capitana tedesca, che sarebbe comunque rimasta libera anche con una sentenza a lei contraria, quanto per capire i lineamenti giurisprudenziali su possibili altri casi simili in futuro.

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