Cento giorni di guerra da non dimenticare

Cento giorni di guerra nel cuore dell'Europa e 20% del territorio ucraino occupato dalle truppe russe come ha dovuto ammettere il presidente Volodymyr Zelensky.

Cento giorni di guerra da non dimenticare

Cento giorni di guerra nel cuore dell'Europa e 20% del territorio ucraino occupato dalle truppe russe come ha dovuto ammettere il presidente Volodymyr Zelensky. Purtroppo ci stiamo abituando a bombe, sangue e distruzioni. Anzi l'opinione pubblica sembra già stufa del bollettino quotidiano dell'orrore. E all'orizzonte si profila l'arma «letale», l'effetto ombrellone. Dopo la pandemia ed i primi 100 giorni di guerra è umano girare lo sguardo dall'altra parte e pensare solo a divertirsi facendo finta che non esiste sulla nostra testa la spada di Damocle della Caporetto energetica e lo spettro della crisi economica che si aggira per l'Europa.

Umano, ma pericoloso e ingiusto: non dobbiamo relegare il conflitto nel comodo archivio delle guerre dimenticate, come abbiamo fatto per otto anni con la prima puntata del feroce scontro nel Donbass. Non esistono guerre congelate per sempre, soprattutto se sono sempre state «calde», con scambi di artiglieria da una parte e dall'altra, come nella regione orientale dell'Ucraina che pochi erano in grado di individuare sulla cartina geografica prima del 24 febbraio.

Se dal 2014 la linea del fronte era circoscritta ad una fetta del Donbass adesso si è allungata per un migliaio di chilometri da Kharkiv, seconda città del paese, fino a Kherson ad un passo da Odessa. E potrebbe espandersi ancora. Nella «migliore» delle ipotesi il nuovo zar, Vladimir Putin, si accontenterà del Donbass e del 20% di Ucraina già conquistata. Il governo di Kiev e un'ampia fascia di popolazione, però, non hanno alcuna intenzione di accettare il diktat imposto con le armi. E non esiste un piano, con tappe concrete, che porti ad una vera e fattibile trattativa.

I soldati ucraini stanno morendo come mosche (da 60 a 100 al giorno ha ammesso il presidente) ed i russi anche se avessero perso «solo» 15mila uomini, la metà dei caduti denunciati dall'intelligence occidentale, starebbero pagando un tributo insopportabile per qualsiasi paese normale. Nel Donbass le artiglierie di Mosca sono in grado di sparare 8mila proiettili al giorno e 1500 si concentrano sulle prime linee come negli ultimi giorni a Severodonetsk. E siamo appena ai primi 100 giorni.

Dopo la zampata di Mosca, che vuole tutta la regione di Donetsk e Luhansk, si rischia di passare dall'avanzata russa ad una guerra di attrito altrettanto logorante.

Siamo in grado di sopportarlo facendo spallucce? Penso di no, almeno per gli inevitabili danni collaterali economici ed energetici in un mondo che non tornerà più ad essere quello di prima. Non potevamo abbandonare gli ucraini come Budapest nel '56 e Praga nel '68.

È doveroso inviare armi, ma dobbiamo essere consapevoli che l'Ucraina potrebbe diventare un Afghanistan nel cuore dell'Europa con Washington che ripete la stessa strategia di Reagan adottata con i mujaheddin durante l'invasione degli anni Ottanta per logorare l'armata allora rossa e oggi russa. Non dobbiamo girare lo sguardo dall'altra parte, ma aiutare gli ucraini a lottare per la pace anche se dolorosa.

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