Il chirurgo ora sa navigare

Con l'aiuto di una guida simile a un Gps raggiunge l'area del cervello

La neurochirurgia sta cambiando. Fino alla fine degli anni Ottanta era semipionieristica, i neurochirurghi operavano a occhio nudo, erano guidati dalla loro esperienza e dall'intuito. Oggi utilizzano microscopi e microstrumenti che permettono di essere meno invasivi e più precisi. Dei progressi registrati e delle prospettive si discute da ieri a Roma dove duemila neurochirurghi partecipano al congresso della Federazione Mondiale di Neurochirurgia. I Paesi rappresentati sono 105, oltre 250 relatori invitati e 1500 i contributi scientifici ricevuti. Molte le innovazioni. All'Istituto neurologico Besta di Milano è già stato inaugurato il campo d'addestramento della neurochirurgia: il Besta NeuroSim Center. Monitor, bracci collegati ad aspiratori, occhiali 3D che permettono di entrare nella testa del malato prima dell'intervento. Nella sala operatoria entrano i primi robot. Ne parliamo con Francesco DiMeco, direttore del dipartimento di neurochirurgia dell'Istituto neurologico Carlo Besta di Milano. Nato a Perugia nel 1962, dopo la laurea (1988) e il servizio militare in Marina (1988-89) in qualità di addetto al Servizio medico di Emergenza con elicotteri nell'ambito del dipartimento Alto Tirreno, si è specializzato in neurochirurgia ed ha svolto per circa dieci anni l'attività di neurochirurgo. Ha poi rivolto il proprio interesse verso la neuro-oncologia chirurgica e a tal fine ha ottenuto e portato a termine (1997-2000) una fellowship di neuro-oncologia chirurgica (sia di ricerca di base che clinica) presso il Dipartimento di Neurochirurgia della Johns Hopkins Medical School di Baltimore negli Stati Uniti. É co-autore del primo studio a livello mondiale che ha portato all'identificazione di cellule tumorali staminali nei glioblastomi, un tumore devastante del cervello, indicando strategie alternative di trattamento. «Gli interventi di neurochirurgia sono il frutto della collaborazione multidisciplinare. In sala operatoria - ricorda il professor DiMeco - sono presenti dieci, dodici persone che controllano sul monitor ogni passo dell'operazione. Alla Johns Hopkins incontravi premi Nobel nei corridoi. In sala operatoria il neurochirurgo è coordinatore di un gruppo di professionisti di pari dignità». Le nuove conquiste della neurochirurgia poggiano sui progressi ottenuti dalla microchirurgia e della chirurgia mininvasiva. «Con la neuronavigazione all'interno del cervello si è fornito al chirurgo un aiuto fondamentale che oggi può essere guidato durante l'intervento da una sorta di Gps, un sistema che si avvale delle più avanzate tecniche di imaging. In sala operatoria uso l'ecografo da qualche anno e non riesco più a farne a meno». Tra protocolli da seguire, lavoro d'équipe, strumentazione e pratica, la sala operatoria non è la parte più complessa della vita di un neurochirurgo. Difficili le relazioni con il paziente e con i familiari, che a volte non vogliono che il malato sappia. Negli Usa è previsto l'Advanced Care Planning: prima dell'intervento, si discute. La cultura della sicurezza deve sempre essere una priorità. Al Besta si sta attuando il progetto Inpatient Safety on Board: si mutuano le procedure aereonautiche con l'analisi e la gestione degli errori dovuti alle difficoltà di comunicazione. Della safety culture fa parte anche un'altra ambizione del Besta: diventare il primo Neurosim in Europa , cioè un centro di simulazione neurochirurgica per medici».

Nel libro «La mia vita per la neurochirurgia», di Francesco DiMeco e Daniela Condorelli (Vallardi editore) sono raccontate le passioni e le frustrazioni che si rincorrono nella vita di un medico che affronta tutti i giorni i tumori del cervello.

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