Moniga del Garda è un paese benedetto da Dio. C'è il Garda, tanto per cominciare, e dunque un paesaggio edenico e un clima invidiabile. Poi c'è il coregone all'olio, vanto della raffinata ristorazione locale. Infine c'è il Chiaretto, piacevolissimo vino rosa inventato proprio lì nel 1896 dal polemico sottosegretario per le belle arti Pompeo Molmenti, uno Sgarbi nato un secolo prima di Sgarbi. I monighesi proprio non possono lamentarsi, nemmeno se il vescovo di Verona (la sponda è bresciana ma la diocesi è veronese) ha affibbiato loro don Giovanni Berti, in arte Gioba, in qualità di parroco. Se sei già in paradiso i preti non sono più un problema...
Invece noi, che in paradiso non viviamo, che a Moniga non abbiamo la fortuna di abitare, di fronte alle vignette di don Gioba (ebbene sì, un prete-vignettista) siamo autorizzati a farci prendere dallo sconforto. Perché sembrano la realizzazione di una profezia di sventura pronunciata da Gesù nel famoso Discorso della Montagna: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente».
Le vignette di don Gioba, diffuse via internet e ora anche stampate in un libro, sono quanto di più insipido. Per dirne lo spirito patatesco dovrebbe bastare il titolo del volume: «Nella vignetta del Signore». Insomma il Vangelo ridotto a barzelletta. Ma non sarei qui a scriverne se don Gioba per il 25 aprile non avesse superato se stesso, ovviamente a sinistra, disegnando un Cristo appena uscito dal sepolcro che incontrando Maddalena, invece dell'evangelico «Noli me tangere», dice: «Questa mattina mi son svegliato oh bella ciao, ciao, ciao...». Dovrebbe far ridere ma a me ha fatto quasi piangere. Blasfemia o idiozia? Davvero siamo ridotti così? È questo il livello del clero italiano? Vorrei tanto che fosse un caso limite, che nel bianco gregge cattolico don Gioba rappresentasse la pecora nera (o forse dovrei dire rossa?), ma non è così visto che le vignette di questo sacerdote così scarseggiante di sacro vengono elogiate da Avvenire, il giornale dei vescovi, e da Tv2000, la televisione sempre dei vescovi.
Devo entrare nel merito? Farei volentieri a meno però mi tocca, in ricordo dei confratelli di don Gioba ammazzati dai partigiani di «Bella ciao». La canzone ha una genesi incerta, non se ne conosce nemmeno l'autore, si sa soltanto che cominciò a echeggiare intorno al 1944, non certo sul Garda bresciano ma sull'Appennino emiliano. «Questo è il fiore del partigiano/ morto per la libertà»: versi menzogneri, visto che a cantarli erano i partigiani comunisti della Divisione Modena, combattenti per un'altra tirannia, non per la libertà. Probabilmente cantavano «Bella ciao» i sedicenti liberatori che in quel periodo proprio in Emilia uccisero innumerevoli preti o futuri preti come il seminarista Rolando Rivi, appena quattordicenne, colpevole di continuare a portare l'abito talare.
Don Gioba questi rischi
non li corre visto che su Facebook, in televisione e coi parrocchiani di Moniga veste da laico, insulsamente secolarizzato, perfettamente mimetizzato, come se il primo a non credersi uomo di Dio fosse lui.Camillo Langone
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