Si informa "tutto il personale interessato che le mascherine date in dotazione non dovranno essere gettate, ma riutilizzate in quanto l'Amministrazione ne è sprovvista". Si legge così, nero su bianco, in un avviso redatto dalla direzione del carcere di Como e rivolto a tutto il personale di polizia penitenziaria. I dispositivi di protezione, tecnicamente considerati "monouso", devono essere conservati e indossati di nuovo. In pratica un usa e... riusa.
La notizia arriva alla fine di una settimana molto complicata sul fronte delle carceri italiane. Prima le rivolte in tutto il Paese nel pieno dell'emergenza coronavirus, con detenuti che hanno distrutto interi reparti e altri in fuga dall'istituto di Foggia. Poi il documento, rivelato dal Giornale.it, in cui non si escludono ulteriori sommosse. Infine l'indiscrezione secondo cui il Giardiasigilli, Alfonso Bonafede, sta lavorando ad un decreto per concedere più braccialetti elettronici ai reclusi, in modo da alleggerire la popolazione carceraria. E ora la carenza di dispositivi di protezione per gli agenti contro il Covid-19. "La Polizia Penitenziaria è costretta a riciclare le mascherine, ma il governo pensa di acquistare migliaia di braccialetti elettronici per scarcerare altrettanti detenuti - attacca Nicola Molteni, deputato del Carroccio - È una vergogna".
Il timore di tutti è che il coronavirus possa superare la soglia delle carceri, luogo dove è quasi impossibile mantenere le distanze di sicurezza richieste dalle norme igieniche e sanitarie. Lo rivendicano i reclusi, ma anche i poliziotti che dietro le sbarre vanno tutti i giorni a lavorare. Le indicazioni operative inviate lo scorso 13 marzo dal capo del dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (Dap), Francesco Basentini, erano già state oggetto di mugugni da parte dei sindacati di categoria. I poliziotti, infatti, sono stati paragonati al personale sanitario come esecutori di un "servizio pubblico essenziale". Chi tra loro venisse a contatto con un positivo da Covid-19, non può restare a casa in isolamento, ma deve andare al lavoro: gli operatori "sospendono l'attività" solo in caso di "sintomatologia respiratoria o esito positivo" del tampone. Per il resto, nessuna quarentena preventiva. "Noi siamo disposti a lavorare anche 24 ore al giorno, ma devono darci gli strumenti per poterlo fare in sicurezza", dice al Giornale.it Alfonso Greco, Segretario regionale lombardo del Sappe. "Se dovesse diffondersi il virus nelle carceri, sarebbe un problema. Noi siamo la prima possibile fonte di contagio, dovremmo sempre indossare la mascherina. Ma ne sono arrivate troppe poche".
Il ragionamento è logico: se i poliziotti sono paragonati a medici e inermieri, allora si aspettano pari tutela. Nella circolare, il Dap assicurava "ogni sforzo possibile" per acquistare dispositivi di protezione individuale "allo scopo di tutelare l'incolumità del personale nell'espletamento delle attività e dei servizi". La prima fornitura di 100mila mascherine è già stata distribuita, ma non sono abbastanza. Il problema è nazionale, non solo delle carceri. La Protezione Civile ha difficoltà a reperirle sul mercato, le aziende italiane non riescono a produrne abbastanza e il blocco delle frontiere rende difficile l'acquisto all'estero. "In questi giorni ne sono arrivate con il contagocce", spiega Greco. "Alla fine molti di noi si arrangiano: c'è chi ha il fratello imbianchino che gliel'ha prestata, chi ha avuto la fortuna di acquistarla". Ormai sono un bene prezioso, quasi di lusso. Ecco perché a Como gli agenti sono stati invitati a non gettarle.
La richiesta avrebbe una sua logica, se non fosse che il ministero della Salute, si questo punto, è stato molto chiaro: "Quando diventa umida", la mascherina va sostituita "con una nuova e non riutilizzarla" perché è un prodotto mono-uso". Nessuna eccezione. Tranne, evidentemente, se a indossarle è la polizia penitenziaria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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