Così il rogo di Parigi ha riacceso la fede

I parigini raccolti davanti a Notre-Dame. È la Chiesa che ritorna nelle piazze, nel Paese che l'ha rinnegata

Così il rogo di Parigi ha riacceso la fede

In ginocchio. Come devoti medioevali riemersi dalle catacombe dell'Illuminismo. Magari muovono solo le labbra, come le vecchiette nelle loro giaculatorie, ma sono i nipotini dei rivoluzionari che profanarono Notre-Dame. Ora innalzano le loro invocazioni fino al cielo, lo stesso che avevano provato ad eliminare dall'orizzonte. Sorpresa: il grande rogo ha incenerito la chiesa, ma ha riacceso la fede. È un paradosso che si dispiega in una giornata funerea per le certezze dei francesi. E però le immagini che arrivano da Parigi ci mostrano i giovani e i vecchi che pregano come non si era mai visto. Cantano. Scandiscono le formule sacre che forse non ricordavano nemmeno più. Versano lacrime di commozione, ma forse anche di nostalgia: quel mondo era già relegato ai margini della società, ma ora, forse, vederlo svanire per sempre suscita sensazioni e pensieri mai provati. Rimpianto che si fa curiosità, perché la tradizione è ignota ai più.

Non è un ritorno all'antico, all'Ancien Régime, ma è una riscoperta dell'innocenza perduta, di un Paese che esisteva ormai solo nelle cartoline e invece è ancora capace di toccare le corde del cuore. Sarà un'emozione che scomparirà fra qualche giorno, come una bolla. O forse no: siamo all'inizio di un percorso nuovo nella terra senza punti di riferimento che sta oltre la modernità. Le mani giunte e persino le corone del rosario. Come se Parigi fosse un po' Lourdes e i parigini scettici parenti stretti dei pellegrini che si accalcano mendicanti nei luoghi di Bernadette.

Solo che qui non è apparsa la Madonna, ma semmai la fragilità del nostro tempo, benedetto nel fonte battesimale del relativismo, dello scetticismo, del libertinismo. È non è nemmeno un vago sentimento religioso quello che affiora in queste ore di sgomento: non si tratta di darsi la mano, come a esorcizzare il maligno che avanza, ma semmai di invocare il Destino, estraneo da secoli, come un ospite sgradito. Non una marcia di solidarietà o un corteo laico, ma qualcosa di inedito. La Francia, in cui le chiese chiudono come cinema ormai deserti, o si trasformano in moschee o diventano altro ancora, si stringe intorno alla chiesa più famosa. Un fenomeno forse transitorio, ma che spiazza perché il protagonista di questa metamorfosi è il popolo che, a queste latitudin, era confinato negli album ingialliti del passato.

Colpisce, poi, che tutto questo avvenga all'inizio della Settimana santa, allineando anche il calendario di una nazione orgogliosa della propria storia a quello della liturgia. Alla Passione di Nostro Signore che, a milioni di francesi, come del resto a tanti europei imbevuti nello stesso spirito, non interessa più e sembra solo una favola fuori dal tempo e dallo spazio della realtà.

Le fiamme alte di Notre-Dame, come quelle di un affresco del Duecento, risvegliano coscienze assopite che sono e, probabilmente, resteranno lontane dai riti canonici della Chiesa. Ma non importa, non è questo il punto decisivo: l'importante è che la chiesa sia andata per una notte oltre le sue mura devastate, che abbia ritrovato la piazza che non le apparteneva più e che il cielo sia sceso ancora in mezzo alla gente.

Succede tutti i giorni, ma non se ne accorgeva più nessuno.

Ora gli occhi e il cuore di molti, atei o miscredenti non fa differenza, sono rivolti lassù. A cercare conforto e una risposta alle grandi domande di sempre. Le stesse che albergano in ciascuno di noi e che nessuna Rivoluzione può estirpare.

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