De Benedetti, il conflitto che Cairo non vede

Ad un osservatore obiettivo verrebbe il dubbio che dietro quell'attività giornalistica si celino interessi dell'editore

De Benedetti, il conflitto che Cairo non vede
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In inglese l'espressione esatta è «character assassination», tradotto vuol dire assassinio della reputazione e prevede una campagna di articoli, dichiarazioni, insinuazioni, interventi sui media che puntano a screditare un avversario politico o un competitor economico. Nel nostro Paese sono stati fatti fuori o perseguitati interi pezzi di classe dirigente con un meccanismo che è al servizio di simili operazioni, il cosiddetto circuito mediatico-giudiziario. Silvio Berlusconi in trent'anni di politica come tutti sanno, purtroppo, è stato una vittima costante di un simile trattamento.

Qualche sera fa è andato in onda sulla Sette, nella trasmissione «Piazza pulita», un servizio su una struttura sanitaria della famiglia Angelucci, il San Raffaele di Velletri. Un servizio che ha messo insieme l'attività politica del capo famiglia, ha tirato in ballo un non ben identificato conflitto di interessi (termine di moda in questi frangenti specie a sinistra) e, naturalmente, le attività imprenditoriali della famiglia nel settore sanitario e in quello editoriale (a cominciare da Il Giornale). Un servizio giornalistico - qui è il punto - che si è basato quasi esclusivamente su un'inchiesta pubblicata sul Domani, il quotidiano di proprietà dell'ing. Carlo De Benedetti, che è anche proprietario di Kos, società che opera nel settore della sanità privata. Un'impresa, quindi, che è diretta concorrente del gruppo Angelucci pure nei rapporti con la sanità pubblica motivo per cui è lapalissiano o, comunque, è lecito il sospetto che un attacco forsennato del Domani contro il San Raffaele, cioè un ospedale del gruppo avversario, possa nascondere anche un conflitto di interessi - e qui l'espressione è appropriata - che tiri in ballo l'editore. Quale credibilità avrebbe, infatti, un'inchiesta de La Stampa, di proprietà degli Agnelli azionisti di riferimento del gruppo automobilistico Stellantis, che mettesse sul banco degli imputati uno stabilimento Volkswagen?

Come minimo ad un osservatore obiettivo verrebbe il dubbio che dietro quell'attività giornalistica si celino interessi dell'editore. Anche perché non è la prima volta che giornalismo e interessi imprenditoriali si mescolano nelle testate di De Benedetti: la battaglia dei trent'anni dall'Ingegnere contro Berlusconi è stata condotta, appunto, con una serie di «character assassination che hanno cadenzato battaglie imprenditoriali di cui è rimasta memoria, dal controllo del Gruppo Sme a quello di Mondadori. Ovviamente con un côté politico: De Benedetti è sempre stato appoggiato dalla sinistra nei suoi scontri contro il Cav, una sorta di simbiosi politico-imprenditoriale determinata dal possesso di un giornale come La Repubblica. E ad osservare questa vicenda il primo proverbio che viene in mente è che il lupo perde il pelo ma non il vizio.

In fondo stiamo parlando di Storia patria che l'editore della Sette, il buon Urbano Cairo, ha vissuto per anni spalla a spalla con Silvio Berlusconi di cui è stato capace collaboratore. Ecco perché ci si aspetterebbe un minimo di prudenza o un atteggiamento più sgamato nella trattazione di simili vicende. In fondo inchieste così spurie, che lasciano un'ombra di sospetto sugli interessi che le muovono, non hanno mai fatto un buon servizio all'informazione. Non è un caso che si parli di crisi del giornalismo d'inchiesta.

Tantopiù - siamo al paradosso - che uno degli intervistati del servizio della Sette ammantato di obiettività, rispetto all'ipotesi che il San Raffaele possa riprendere la sua attività, tra tanti se spiega: «il territorio plauderebbe se questo dovesse succedere, deve essere chiaro». Insomma, sarebbe un bene per la comunità: forse è quello che dovrebbe contare, o no?

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