Il dilemma atlantico

La questione è posta. Non da ora. Da quando l'Occidente ha deciso di salvare l'Ucraina dall'aggressione russa. Kiev può entrare nella Nato o no? E quando?

Il dilemma atlantico
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La questione è posta. Non da ora. Da quando l'Occidente ha deciso di salvare l'Ucraina dall'aggressione russa. Kiev può entrare nella Nato o no? E quando? C'è chi predica prudenza perché ha paura della reazione di Mosca, delle parole del Cremlino che considera questa eventualità «molto pericolosa per l'Europa». Addirittura c'è chi paventa l'atomica. Beh, è difficile immaginare una condizione «più pericolosa» della guerra che si sta combattendo. E rispetto all'uso dell'atomica, lo Zar potrebbe deciderlo in qualsiasi momento, l'unico argomento che lo dissuade è che un attimo dopo si beccherebbe una bomba nucleare in terra russa. Anzi, per dirla tutta, l'ombrello atomico di cui Kiev godrebbe entrando nell'Alleanza dissuaderebbe il Cremlino ad usare quell'arma micidiale.

Una premessa per dire che la Nato ha innanzitutto, appunto, una funzione di «dissuasione», di difesa: serve cioè a convincere i nemici che non è il caso di attaccare l'Occidente. Messa così - questo Giornale lo fa dal 2 ottobre dello scorso anno - è difficile, se non impossibile, immaginare una pace duratura senza un ingresso di Kiev nell'Alleanza. È l'unica vera polizza di assicurazione che Zelensky potrebbe avere, l'unica garanzia che, una volta raggiunta una tregua, fra dieci anni non ci si ritroverebbe nella stessa situazione, come avvenuto con gli accordi di Minsk.

È naturale, quindi, che il presidente ucraino chieda un calendario che gli garantisca l'adesione alla Nato in tempi certi. Ed è ovvio che l'atteggiamento prudente e votato al rinvio di Washington lo innervosisca. Ora bisogna scoprire i motivi che spingono gli Usa a procedere con i piedi di piombo. Se esistesse davvero una riserva sull'adesione, allora gli strateghi di Washington compirebbero un grosso errore: dopo avere spinto gli ucraini alla guerra, dopo averli armati fino ai denti, li lascerebbero da qui a dieci anni alla mercé delle voglie di rivincita dell'orso russo. Non è che non sia capitato in passato: basti pensare ai curdi o, più recentemente, agli afghani. Discorso diverso sarebbe, invece, se Biden volesse utilizzare l'ingresso nella Nato come argomento per convincere Zelensky alla pace con un ragionamento di questo tipo: l'Occidente vi ha appoggiato in maniera massiccia; la guerra sta durando troppo a lungo (fra poco più di un anno ci sono le elezioni per la Casa Bianca); per cui, se rinunciate a una parte dei territori occupati dai russi e poniamo fine al conflitto, noi vi garantiamo il domani con l'ingresso nell'Alleanza. Sarebbe un discorso estremamente pragmatico, ma avrebbe un senso e un valore.

Detto questo, è evidente che, in ogni caso, l'adesione dell'Ucraina alla Nato sarà uno dei capisaldi di ogni ipotesi di pace. Anche perché se gli Stati Uniti possono giocarci su, visto che sono in un altro continente, gli europei no: dovrebbero essere i primi a porsi il problema se non vogliono che lo scontro ucraino-russo diventi un'altra guerra dei trent'anni, caratterizzata da una serie di conflitti senza fine. I primi a saperlo sono i Paesi della regione, dalla Polonia ai Baltici, che non per nulla tifano per un ingresso dell'Ucraina in tempi brevi.

In fondo si tornerebbe alla logica della Cortina di ferro, che non era certo il paradiso ma ha assicurato la pace o comunque una «guerra» non combattuta ma «fredda». Con un piccolo particolare: ora loro sarebbero sull'altro versante.

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