Niente è rimasto uguale dal giorno in cui David Rossi ha perso la vita. La vicenda che descrive la scomparsa di quell’uomo, anche a distanza di anni, non si è mai cristalizzata. Mese dopo mese, nuovi capitoli del tragico racconto sono stati scritti. Dalle testimonianze (poche), dalle indagini dei periti (molte) e grazie alla famiglia che non ha mai smetto di chiedere giustizia. Della tragica morte del mangaer del Monte dei Paschi di Siena solo una cosa è rimasta ferma da quel giorno di marzo del 2013. La verità giudiziaria.
“Dal punto di vista processuale siamo fermi al processo principale. Le indagini sulle cause della morte del dottor Rossi sono di fatto state archiviate. Per ben due volte", ci spiega Carmelo Miceli, legale della famiglia Rossi. "Sono aperte delle indagini parallele. Delle indagini collegate presso altra procura di altro tribunale. Delle indagini che potrebbero essere collegate presso lo stesso tribunale di Siena".
La prima archiviazione del caso che definiva il decesso del capo della comunicazione di Mps un suicidio è avvenuta immediatamente dopo la scomparsa di David. Dopo alcuni mesi, con il dissequestro del materiale da parte della procura di Siena, la manacata accuratezza nelle indagini emerse in maniera tanto chiara quanto dolorosa. L’ipotesi accreditata dalla magistratura non era l’unica pista percorribile, secondo gli indizi suggeriti dalle prove rinvenute della scena del crimine. "Io credo che ci sia stato un condizionamento molto forte, all’inizio, da parte di chi, a tutti i costi, vedeva in quei fatti un suicidio - continua Miceli - E quindi questa visione ha condizionato tutto. È una teoria che condiziona gli eventi. Di fatto qualsiasi cosa è stata affrontata, nella migliore delle ipotesi, con il massimo della superficialità".
Una superficilità che, oggi, potrebbe costare il prezzo di una mancata verità. Dopo due anni il caso viene riaperto. Per la prima volta si iniziano a fare delle indagini. Si comincia ad andare a fondo su tutti gli aspetti fondamentali tralasciati durante i primi accertamenti. Il magistrato che si occupa del caso deciderà di riniziare a mettere in ordine tutti i tasselli dell’assurda vicenda. E lì scoprirà che, molte delle informazioni fondamentali per arrivare a comprendere le dinamiche di quello che fino a quel momento era stato definito un suicidio, sono andate perdute.
Il tempo aveva reso gli errori della procura di Siena irrecuperabili. Non sono mai stati chiesti nell’immediato i tabulati delle celle telefoniche di tutti cellulari che sono transitati nei pressi della banca nelle ore dell’accaduto. Se fosse stato fatto avrebbero, ad esempio, potuto rintracciare l’identità dell’uomo, mai identificato, che ad un certo punto entra nel vicolo in cui si trovava il corpo di David con un telefono all’orecchio.
I vestiti di David non sono mai stati sequestrati, sui suoi indumenti nessuno ha mai fatto delle analisi. Così come sulle ferite identificate sul corpo dell’uomo. Non è mai stato fatto l’esame istologico. Indagini che avrebbero permesso di capire il momento in cui David si sarebbe procurato quelle ferite e, forse, tolto i dubbi su una possibile colluttazione avvenuta proprio quella sera, prima che il corpo di David precipitasse. Non si è fatto immediatamente l’esame del Dna sul corpo di David. Né sul suo orologio, né sui suoi telefoni cellulari. I fazzoletti sporchi di sangue ritrovati nel cestino del suo ufficio non sono mai stati analizzati e distrutti dalla procura il 14 di agosto, prima ancora che fosse decretata l’archiviazione del caso. "Quei fazzolettini sono stati confiscati al pm un giorno dopo aver avanzato una richiesta di archiviazione - spiega l’avvocato - e quindi a processo ancora in corso, a indagine ancora in corso, senza una pronuncia dell’autorità giudiziaria, in pendenza del termine per l’opposizione". Di chi era quel sangue? Rimane un mistero.
Non sono mai state acquisite le immagini di tutte le telecamere interne ed esterne alla banca, escluso quella che ha ripreso la caduta. Elementi che avrebbero permesso di identificare tutte le persone che avevano transitato fuori e dentro la banca in quelle ore. Anche il video rinvenuto non è integrale ma è stato tagliato. Parte un minuto prima della caduta e finisce prima dell’arrivo dei soccorsi. La procura non ha aperto nell’immediato un fascicolo per il reato di omissione di soccorso per ritrovare la persona che entra nel vicolo con il telefono all’orecchio dopo le 20. A novembre del 2015, nel momento della riapertura del caso, niente di tutto ciò era ormai più recuperabile. In quei due anni, il tempo trascorso ha reso impossibile ritrovare tutti gli elementi mai presi in considerazione e utili a capire se quello di David è stato davvero un suicidio.
"Ci sono ancora molte cose che si possono fare", ammette senza ombra di dubbio l’avvocato Miceli. “Ora è necessario comprendere se quella caduta è una caduta accidentale o meno, comprendere se all’atto della caduta David fosse o meno lucido e vigile, comprendere se prima di quella caduta ci siano state delle colluttazione che darebbero una spiegazione palese ai segni rinvenuti sul corpo, comprendere dove sono avvenute quelle colluttazioni e quindi da lì comprendere chi era in prossimità del luogo in cui tutto è avvenuto. Accertate queste cose sarà più semplice risalire al movente".
Una ricerca della verità che prosegue attraverso le indagini della famiglia che, assieme al legale, attende di comprendere le ragioni per cui pende un procedimento a Genova, la procura compente per reati che hanno o come persona offesa o come indagato altri magistrati, per il sistema di rotazione di Siena. “Siamo curiosi di capire se e cosa deciderà Genova e poi all’esito faremo le nostre valutazioni per capire se depositare un’eventuale istanza di riapertura”. Parallelamente è stata avviata anche un’azione parlamentare, su proposta dell’onorevole Valter Rizzetto, di Fratelli d’Italia, è stata presentata una proposta di legge per l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. Sottoscritta e condivisa da tutti i gruppi parlamentari. “È ancora al vaglio della capigruppo della Camera dei Deputati e aspettiamo che almeno questa venga esitata per comprendere almeno se, ancorchè in sede parlamentare, si possano nel frattempo avviare i dovuti approfondimenti", spiega Miceli.
Che poi ammette: "Non mi preoccupa il tempo trascorso. La giurisprudenza ci dice che, a distanza di trent’anni, ci sono state sentenze di primo grado per omicidio che hanno reso giustizia alle vittime".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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