"Evitiamo un centrodestra alla Vannacci". Lo sfogo di Tajani

Domanda Tajani: "Ma è meglio dare la cittadinanza a chi ha fatto la scuola dell'obbligo e ha incontrato la cultura e i costumi italiani - ha avuto, cioè, un processo di italianizzazione - o a chi, nel tempo, ci arriva lo stesso, bighellonando per le strade del Paese?!

"Evitiamo un centrodestra alla Vannacci". Lo sfogo di Tajani
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La strana sindrome che ha colpito il centrodestra è nella sintesi di un ragionamento efficace di Antonio Tajani che somiglia tanto ad un gioco di parole. «Il problema - osserva il ministro degli Esteri - è che Salvini ha paura del generale Vannacci. La Meloni ha i suoi timori, ha paura di Salvini ed è circondata da personaggi che la pensano come il generale Vannacci. Per cui alla fine nel centrodestra rischia di comandare il generale Vannacci...».

Solo che questo perverso meccanismo finisce per radicalizzare la coalizione di governo a destra, limitandone la capacità di rappresentanza quando per contrastare il «campo largo» della Schlein, che tra mille contraddizioni è ormai in gestazione, il centrodestra dovrebbe favorire il processo inverso. A Matteo Salvini e Giorgia Meloni sembra essere sfuggito infatti un particolare: è come se i due leader della destra italiana, ora che dal tripolarismo con i grillini come terzo incomodo siamo tornati ad uno schema bipolare puro, non si rendano conto quanto le regole e le strategie siano cambiate. Basta guardare le percentuali delle ultime elezioni europee: per arrivare all'agognato 51% - nel bipolarismo si vince con queste percentuali - il centrodestra o deve attrarre soggetti che potenzialmente sono schierati con l'altro schieramento (Renzi o Calenda) o deve conquistare gli elettori moderati. La prima ipotesi appare remota (al massimo possono sperare che qualcuno al centro continui a coltivare l'idea di un terzo polo o in una «scissione grillina» provocata da Grillo o da un Travaglio filo-Meloni); quindi, resta la seconda, che tira in ballo l'unico partito che, posizionato sulla linea di confine tra i due schieramenti, può svolgere un ruolo del genere, cioè Forza Italia. Solo che per essere efficace, per diventare un punto di riferimento per quell'elettorato moderato che Pier Silvio Berlusconi considera la «maggioranza del Paese», per avere appeal verso quei mondi, il partito di Tajani deve differenziarsi dalla destra della coalizione. Paradossalmente questa linea - che Salvini osteggia e della quale la Meloni diffida - è l'unica che può attrezzare l'attuale coalizione di governo per una competizione bipolare.

Di questo Tajani è consapevole, gli altri due no. «L'obiettivo vero - spiega il leader di Forza Italia - è allargare la capacità di rappresentanza del centrodestra, visto che siamo tornati al bipolarismo, e dentro lo schieramento possiamo farlo solo noi». Un discorso che non fa una piega, ma che si scontra con «i sospetti» dei suoi interlocutori, perché è evidente che con una Forza Italia più forte cambierebbero gli equilibri nella coalizione. In prospettiva si potrebbe tornare, dal destra-centro attuale, ad una coalizione che abbia il suo baricentro più spostato verso l'area moderata. Una coalizione, nei fatti, più competitiva. Ma vallo a spiegare a chi ha il terrore di Vannacci.

In questa situazione è difficile anche incontrarsi su temi semplici e sui quali in passato anche la Meloni era d'accordo, come lo «ius scholae». Domanda Tajani: «Ma è meglio dare la cittadinanza a chi ha fatto la scuola dell'obbligo e ha incontrato la cultura e i costumi italiani - ha avuto, cioè, un processo di italianizzazione - o a chi, nel tempo, ci arriva lo stesso, bighellonando per le strade del Paese?! Questo è il punto. E ancora: è più giusto che la cittadinanza l'abbia una ragazza di colore che intona con orgoglio l'inno nazionale, o qualche seguace di Salvini che neppure lo canta?! Ma non scherziamo!».

È comunque probabile che lo «ius scholae» sia solo il primo argomento su cui Forza Italia tenterà di interpretare la nuova linea che guarda con attenzione all'elettorato moderato. Una linea che, però, non metterà mai in discussione né l'attuale quadro politico, né tantomeno il governo. Una strategia obbligata visto che, dopo il «primum vivere» che ha caratterizzato la prima fase del «dopo Berlusconi», ora Tajani deve darsi una prospettiva di lungo periodo per crescere.

Una scelta irreversibile per il bene della coalizione e che sta solo agli alleati capire. Anche perché non hanno scelta. «Le minacce di crisi e di lezioni di Salvini?», il ministro degli Esteri fa quasi spallucce: «Se si va al voto Salvini prende meno voti di ora. Mentre noi siamo confortati dai sondaggi».

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