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Gas di scarico testati sulle scimmie: auto tedesche sotto accusa

New York Times e Bild svelano test su 10 animali nel 2015. Scoppia la polemica in Germania

Gas di scarico testati sulle scimmie: auto tedesche sotto accusa

Test sulle scimmie per provare gli effetti dei gas di scarico delle auto. Nel mirino delle polemiche sono finiti tre colossi dell’auto tedesca, Volkswagen, Daimler-Benz e Bmw, che hanno realizzato, nel 2015, esperimenti sugli animali negli Stati Uniti.

Il dossier del New York Times, rilanciato ora dal Bild, rivela le torture effettuate su 10 scimmie nel laboratorio della "Lovelace Respiratory Research Institute", nel New Mexico. Gli animali sono stati chiusi in una stanza per quattro ore e, mentre veniva proiettato un cartone animato per distrarli, gli veniva fatta respirare aria inquinata con i gas di scarico delle auto. Secondo l'inchiesta tutte e dieci le scimmie sono ancora vive, ma "non si sa in quale stato di salute".

"Le scimmie - ha spiegato il numero uno dell'associazione tedesca contro gli esperimenti sugli animali, Klaus Kronaus - sono animali che hanno bisogno di muoversi molto, già tenerle ferme per 4 ore corrisponde a una tortura. Il gas di scarico ha poi messo a rischio la loro salute".

Dietro i test sulle scimmie ci sarebbe l’allarme scatenato nel 2012 da uno studio pubblicato dall’organizzazione mondiale della sanità, secondo il quale i gas di scarico sono cancerogeni. I colossi dell’auto volevano dimostrare il contrario e per questo hanno scelto le scimmie come cavie delle loro verifiche.

Le scuse

Tutti i colossi dell'auto si sono scusati definendo i test una follia e un errore clamoroso."Il Bmw Group non conduce studi su animali e non ha preso parte a questa sperimentazione. Per questo motivo non siano in grado di dare informazioni su tema in oggetto", ha scritto la casa automobilistica.

Tra il materiale in possesso del Bild, c'è anche una mail dalla quale si evince che gli scienziati avessero dibattuto dell'eventualità di sottoporre al test anche

cavie umane, volontarie. "Puoi immaginarti il dibattito pubblico che provocherebbe uno studio del genere", reagì l’allora direttore generale della fondazione, Michael Spalleck, bocciando l’idea.

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