I fantasmi del passato e le follie del presente

Ormai è una consuetudine, una tradizione, una polemica che divampa puntuale ad ogni festa nazionale.

I fantasmi del passato e le follie del presente

Ormai è una consuetudine, una tradizione, una polemica che divampa puntuale ad ogni festa nazionale. Ovviamente l'apoteosi si raggiunge il 25 aprile, la Festa della Liberazione, ma neppure gli altri appuntamenti ne sono immuni. Destra e sinistra, rossi e neri sia pure con i colori un po' sbiaditi si confrontano con parole grosse e scomuniche in diatribe storiche, confondendo il presente con il passato e la Storia con la politica. Il risultato che ne consegue è il peggiore: questi anniversari dovrebbero servire ad unire il Paese, a pacificare, a porre le basi per una memoria comune o, comunque, non contrapposta ad uso delle fazioni e invece consegnano l'immagine opposta, quella di una nazione divisa.

Ciò non significa che tornino i fantasmi di un tempo semmai, ad esser generosi, la loro parodia. Ci vorrebbe prudenza, rispetto e scienza quando si affrontano simili argomenti, cioè l'approccio, appunto, che hanno gli storici. Invece, qui le opinioni diverse si trasformano automaticamente nell'occasione di una rissa lessicale. L'attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, in un podcast ha dato una sua lettura dell'attentato di via Rasella. Tra l'altro ha definito quella vicenda «una pagina tutt'altro che nobile della Resistenza» e le vittime di quell'azione partigiana «una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti». In fondo ha dato voce ad una versione di un episodio principe della storiografia della Resistenza condivisa anche da qualche studioso. Lo ha fatto con un linguaggio fin troppo colorito visto che in quella vicenda morirono 33 soldati tedeschi e due civili italiani e poi nella conseguente rappresaglia nazista 335 prigionieri del tutto estranei all'attentato. Per cui avrebbe dovuto soppesare meglio le parole dedicate ad una delle pagine più sanguinose di quel periodo.

Ma il problema vero è un altro: si dà il caso che il presidente del Senato non è uno studioso, uno storico, ma ricopre un ruolo politico-istituzionale, è la personalità che fa le veci del presidente della Repubblica quando è all'estero o nel caso avesse un impedimento. È una carica, quindi, che rappresenta tutti gli italiani e nella quale dovrebbero riconoscersi tutti gli italiani. Quindi, come il capo dello Stato dovrebbe aver ben presente il principio di terzietà per evitare che, se fosse chiamato a sostituirlo, non scoppi una guerra civile.

Detto questo La Russa si è scusato, solo che questo non è bastato né all'Anpi, né alla neosegretaria del Pd, Elly Schlein. C'è l'Anpi di Milano che ha proposto di escludere La Russa dalle manifestazioni per il 25 aprile e quella nazionale ha promosso una raccolta di firme per le sue dimissioni insieme con Rifondazione comunista. L'ex segretario della Cgil di Bologna è andato anche oltre con una frase che si tira dietro la vergogna: «La Russa è la dimostrazione più evidente che nel '45 ne furono stesi troppo pochi».

Di male in peggio. Insomma, stiamo assistendo ad una regressione pericolosa se si tiene conto che l'andamento elettorale e la svolta radicale data dalla Schlein al Pd ci sta portando verso un processo di polarizzazione sulle estreme. Sarebbe auspicabile una legittimazione reciproca vera che abbia a cuore l'interesse generale.

Al contrario lo sguardo volge fatalmente verso un passato che andrebbe una volta per tutte superato. Un passato che dovrebbe essere parte di una Storia comune e non di una polemica politica, mi sia consentito, a dir poco dozzinale.

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