I malati di Alzheimer? Più «umani» di noi

Già molto prima di essere psicoanalista, ho sempre amato i vecchi strani. Allora si diceva vecchi matti, ma senza cattiveria, piuttosto con affetto, e anche un po' di timore. C'era la percezione, già quando le scuole religiose ci portavano da bambini a trovarli nelle case di riposo, che fossero persone importanti, suggestive. Con una loro (...)

(...) nascosta potenza, al di là della pietà che ci suggerivano premurosamente le maestre, forse un po' schifate dalle bave, o qualche risata troppo forte. Furono pomeriggi intensi quelli passati con loro, di solito prima di Natale, o Pasqua.

Poi, abbastanza improvvisamente, sono dilagati un po' dovunque, nelle famiglie, nelle case. Tutti, nonni, genitori, fratelli, vecchi amici, ex fidanzate, potevano diventare come loro, e qualcuno lo faceva. A volte lentamente, a volte meno, lo sguardo si spegneva, andava altrove. Mamme e nonne iperpresenti, quasi invadenti, si eclissavano nel mistero, a volte nel silenzio. Delle amate partite a carte con le amiche non importava più nulla. Né a lui del campo di golf, o degli amici della cooperativa. Dove stavano andando?

Erano veramente dementi, diventati improvvisamente sociopatici, o c'era un brandello di saggezza, che si faceva largo in mezzo alle abitudini cui avevano ceduto troppo a lungo, magari annoiandosi a morte? La nonna che improvvisamente disertava le amiche della canasta, prima le amava davvero, o non ne poteva più già da un pezzo? Impossibile saperlo, se glielo chiedevi sfoderava un sorriso da sfinge, silenziosa. È come quando l'impeccabile nonna di Proust ha un malore, e poi si riprende e sale in carrozza mettendosi il cappello storto sulle ventitré, sfilando sul viale con un sorriso sghembo. È un inizio di demenza, oppure vuole fare uno scherzo un po' horror agli amici aristocratici che si scappellano sul marciapiede del boulevard, basiti al vederla così in disordine? Non riesco mai a non chiedermelo, anche adesso quando incrocio queste situazioni come psicoterapeuta.

Anche perché proprio l'osservazione del malessere mi ha insegnato che quando qualcosa va solo verso una direzione, per esempio attività, lucidità, efficienza, razionalità, più inesorabilmente «chiama», suscita, e sotterraneamente produce il contrario: stasi, annebbiamento, irrazionalità. Più loro stanno fermi, si addormentano ostentatamente di giorno, rimangono a lungo silenziosi, e più mi viene da pensare che noi siamo tutti iperattivi, e che loro, non potendo ormai fare altro, ci stanno forse indicando un altro modo. Forse una via d'uscita da uno stile di vita frenetico, che magari potrebbe davvero farci diventare tutti pazzi.

E poi quei loro sguardi persi, sognanti, così più interessanti del tipo perfectly fit, con la sua penetrante occhiata pubblicitaria, come chi ti sta sempre vendendo qualcosa...

Loro, i vecchi strani, non hanno niente da venderti, o di cui convincerti. Sono lì, altri, ormai inesorabilmente diversi da te, testimoni di un altrove che non si sa dove sia. Forse sono anche noi, fra poco forse. Impossibile non amarli.

Claudio Risé

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