Io, reporter tra i black bloc che hanno devastato Milano

Il racconto di una giornata di violenza e devastazione a Milano: tutte le strategie per non farsi riconoscere e "sopravvivere" ai lacrimogeni

Io, reporter tra i black bloc che hanno devastato Milano

Accade tutto in fretta, terribilmente in fretta. Quasi non me ne rendo conto. Il furgone degli Autonomi mi passa davanti con le bandiere NoTav spiegate umide di pioggia, e la nave pirata sulla fiancata che li rappresenta ghigna i suoi distruttivi propositi alle eleganti palazzine di Corso Magenta. Dal cassone scaricano in mezzo alla strada un telo che nasconde spesse mazze di bamboo. Ogni incappucciato ne prende una passando e poi tutti si schierano, uno affianco all'altro, in tre, forse quattro, sottili file ondulate. Marciano per la strada come un esercito.

Un ragazzo corre verso di me e mi getta tra le braccia un casco da moto. Mi guarda dritto negli occhi, sopra la mascherina nera che mi copre in parte il viso, e mi dice: «Mettitelo perché qui tra poco si balla». Diceva la verità: inizia la devastazione. Tirano fuori dagli zaini spranghe, piedi di porco e picozze da ghiaccio. Mentre una fila di militanti protegge il fianco e tiene a distanza la Polizia con bombe carta e sassaiole, al centro di largo Paolo d'Ancona i black bloc scatenano la devastazione. Prima spaccano le vetrine della Cariparma, poi lasciano sui muri la loro firma. «Expo party!» La festa è appena cominciata. Un fotografo viene spintonato via. Minacciano di spaccargli la macchina fotografica. Cosa ci sarà da fotografare poi non lo capisco: appena si dirada la nebbia colorata dei fumogeni, calano sulla piazza i lacrimogeni lanciati dalla Polizia e non si vede più niente. Qualcuno fugge, qualcuno, più esperto, li raccoglie da terra per rispedirli al mittente. Non si respira. Il lacrimogeno penetra sotto la visiera, gonfia la gola e fa bruciare gli occhi. Per fortuna ero preparato: ho portato con me una bottiglietta con acqua, bicarbonato e limone. Me ne spruzzo un po' in faccia, un po' in bocca, sciaquo e sputo. Questa è l'unica soluzione contro i lacrimogeni. Di fianco a me tanti fanno lo stesso, mentre una ragazza, che dalla voce a stento avrà diciott'anni, grida: «Avanti!» Le casse del furgone invitano a fare lo stesso: «Andiamo avanti, compagni! Il corteo deve proseguire con il suo percorso come stabilito».

Non si fermano. Continuano a devastare. Passano davanti a Cadorna, davanti al negozio di Venchi. Lo fanno a pezzi. Un ragazzo solleva un tavolino e lo lancia contro la vetrina mandandola in frantumi. A terra si cammina sopra schegge di vetro e fumogeni spenti. Si passa alle macchine. Una BMW viene distrutta a colpi di mazza, ma, prima che altri possano infierire ulteriormente, un ragazzo con il braccio alzato e il pugno chiuso in segno di rivolta butta sui sedili posteriori un bengala e in meno di un minuto la macchina si trasforma in un rottame infuocato. «Il Capitalismo uccide!», oggi è il giorno buono per fargliela pagare. Qualcuno vorrebbe far fare la stessa fine ad una Renault rossa. Pareri opposti: per alcuni non è una macchina da ricco, per altri merita comunque di essere vandalizzata. Una ragazza coi capelli viola decide di tagliare corto e con un colpo di martello spacca il finestrino laterale. Le canzoni dei Moden City Ramblers in sottofondo si confondono con la voce degli altoparlanti, questa volta in inglese: «Stay behind the line! We must go at the end of the demostration». Avanzano verso piazza Virgilio e lì scatenano l'inferno.

Distruggono i semafori e poi danno l'assalto alla banca della Bnl. Appena i primi black bloc si sono allontanati per portare la devastazione nelle vie laterali, un ragazzo mi passa vicino, lo vedo tirare fuori dalle tasche un succo Pago avvolto con la carta igienica, una bomba molotov artigianale. Cammina lentamente, la accende e mentre il fuoco divora la carta per un lungo secondo la soppesa con la mano e poi la getta senza sforzo contro lo sportello automatico della Bnl. La banca è in fiamme e sulla piazza si alza un fumo nero. Nuovo lancio di lacrimogeni, ma questa volta nessuno sembra farci caso. Si riparte seguendo le insegne del furgone, giù verso Conciliazione. Nella calca vedo passare oltre un uomo in carrozzella. Indossa anche lui un casco da moto, ogni tanto incita alla carica i ragazzi, ogni tanto li rimprovera perché si stanno attardando troppo nell'opera di devastazione. È un'immagine surreale. Così come lo è vedere un venditore ambulante che al centro del “blocco nero” vende birra e acqua agli incappucciati. Anche in momenti come questi c'è chi ci guadagna. Forse è lui il vero capitalista, ma la gente intorno sembra non rendersene conto. Gli altoparlanti invitano ad avvicinarsi al furgone: «Compagni, abbiamo fatto ciò che andava fatto. Ora dobbiamo portare a termine la manifestazione come stabilito». Subito non capisco il senso di queste parole, ma poco dopo tutto mi diventa più chiaro. In via Giovanni Boccaccio un ragazzo accende un fumogeno arancione, il fumo li avvolge e protetti da questo manto i black bloc si liberano di bastoni e cappucci per mescolarsi al resto del corteo.

Ridono, si fanno l'un l'altro i complimenti, qualcuno si accende una sigaretta.

Chiedo l'accendino ad un tedesco coi capelli ossigenati e lui tira fuori dal taschino uno Zippo con sopra il marchio della Porsche, proprio come quello della macchina che dieci minuti prima lui e i suoi compagni avaveno dato alle fiamme.

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