Non le è bastato, già un ventennio fa, il «lavacro» di Fiuggi, né l'essere già stata ministro della Repubblica, né l'essere tutt'ora un deputato nonché il segretario di un partito riconosciuto a pieno titolo nella dialettica parlamentare. Non le è bastato aver detto, ridetto, stradetto e in più lingue (visto che ne parla niente male almeno un paio) che lei con il fascismo non ha niente a che spartire, per età, per rifiuto di ogni tentazione totalitaria, e tantomeno con il neofascismo, palla al piede per ogni partito che intenda rifarsi a un'idea di destra. Non le basterà, come ha appena fatto, intervistata da Bruno Vespa nel suo ultimo libro fresco d'uscita (Come Mussolini rovinò l'Italia. E come Draghi la sta risanando) dire che «il 25 aprile celebra la liberazione dell'Italia dal nazifascismo»... Qualsiasi cosa abbia detto, dica e dirà Giorgia Meloni sul tema non muterà di una virgola ciò che c'è dietro a esso: un'Italia fragile, un Paese senza, aggrappato a una memoria di comodo, non avendo mai voluto fare veramente i conti con la sua storia. Diceva Renan che la nazione «è un plebiscito quotidiano». A giudicare dalle ultime amministrative, siamo una nazione in sciopero.
L'antifascismo è la chiave che serve a tener chiuse le miserie italiane. Abbiamo perso una guerra e ci siamo crogiolati con l'idea che l'avesse persa il fascismo e vinta gli italiani... Non è un caso che la vulgata più popolare sull'argomento sia stata un film comico, Tutti a casa. Ricordate? «Colonnello è successa una cosa straordinaria», diceva il tenente Innocenzi, Alberto Sordi sullo schermo: «I tedeschi si sono alleati con gli americani e ci stanno sparando contro». Dalla tragedia ci stavamo specializzando nella farsa. Nel tempo è diventata la nostra maschera nazionale.
Il film è degli anni Sessanta, quando l'antifascismo strumentale si accinge a blindare la nascita del centro-sinistra da future tentazioni di centro-destra. Prima non era stato così, e in fondo gli anni della ricostruzione sono quelli di un Paese troppo vicino a ciò che è successo per giocarci sopra o per fare finta di avere in maggioranza resistito lì dove invece in maggioranza aveva acconsentito. Per ogni antifascista improvvisato che punta il dito sul fascista non pentito c'è sempre qualcuno che ricorda al primo che no, che non ha i titoli per ergersi a coscienza civile... Nella Milano degli anni Cinquanta, Leo Longanesi, uno che ha fatto e disfatto il fascismo, salta sul tavolo di un ristorante e grida all'indirizzo di chi lo denunciò all'indomani della Liberazione: «Prendetelo, è un antifascista». Quello si alza e imbocca di corsa l'uscita
Il fatto è che siamo sempre più un Paese senza memoria. Avevamo il più forte Partito comunista d'Occidente. Si è sciolto come neve al sole e non trovi nessuno fra i suoi politici di lungo corso, fra i suoi mâitres à penser intellettuali che sull'argomento vada mai veramente a fondo. Ti guardano seccati, come se gli stessi chiedendo di rivelare chissà quali oscenità private. Per anni sono stati al servizio di un'idea, poi sono passati ad altro, come si cambia d'abito al mutare delle stagioni. Il comunismo prêt à porter.
Naturalmente, memoria e identità sono legate fra loro e in politica l'esserne privi è tanto più dannoso perché sono le classi dirigenti che costruiscono il carattere di una nazione. La fine della Prima repubblica, il non essere mai nata della Seconda, il proliferare di sigle parlamentari, il nascere e il morire di maggioranze di governo senza legittimazione di voto, la moratoria alle elezioni politiche, che cosa ci raccontano se non un Paese senza timone né rotta?
Ci si affida così a un feticcio nominale, residuo postbellico riesumato a comando, immagine di comodo costruita su una lettura parziale e autoconsolatoria di cosa sia stato il ventennio fascista, la sua pervasività, le sue connivenze, il grado di partecipazione, di consenso, persino di entusiasmo. Era stato un antifascista serio, Piero Gobetti, a definire il fascismo «l'autobiografia della nazione».
Per anni si è continuato a far finta che quell'autobiografia fosse antifascista I conti non tornano, non possono tornare, non torneranno mai. Giorgia Meloni se ne faccia una ragione, si metta l'anima in pace e si candidi alla guida del Pd.
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