L'emporio dei finti draghiani

La solitudine di Matteo Renzi è una sorta di professione di fede verso il draghismo, una testimonianza, testarda e in fondo coraggiosa

L'emporio dei finti draghiani

La solitudine di Matteo Renzi è una sorta di professione di fede verso il draghismo, una testimonianza, testarda e in fondo coraggiosa. Il personaggio, nel bene e nel male, è capace di stupire. Al centro del centro è rimasto lui, come se fosse un luogo da presidiare, un punto senza massa e, secondo i sondaggi, con pochi voti, ma che sembra avere un senso politico. Matteo da Rignano non fa al momento il porta borracce di Enrico Letta.

Forse è questione di orgoglio. Renzi ha aperto la breccia nel Conte 2 e ha continuato a scavare, svelando l'inconsistenza di un governo che nel Pd consideravano una casa solida, dove restare al caldo nei giorni della tempesta e aprendo di fatto le condizioni di quel patto di maggioranza, anomalo, che ha portato a Palazzo Chigi l'ex capo della Bce. Chi non sopporta Draghi o lo considera un usurpatore non può che maledire Renzi. La stramberia è che chi agita l'agenda Draghi come un libretto rosso non riconosca a Renzi neppure il merito dell'intuizione o della mossa spiazzante. Per tutti Italia viva è un corpo che galleggia, che però smaschera i chiaroscuri di Calenda, che al centro ha lasciato solo la sua ombra. È il draghismo prêt-à-porter, che per trenta denari di collegi poco blindati diventa socio di minoranza dell'emporio della sinistra, questo bottegone dove trovi di tutto, con il banco dell'usato sicuro riverniciato di fresco e una passione per il finto Novecento. L'unica accortezza di Calenda è mettersi un fazzoletto al naso, chiedendo di nascondere nel sottoscala la merce meno gradita, compresa la sua.

Il risultato è che adesso tutti rivendicano una dignità di vetrina, minacciando di lasciare il negozio e bussare alla porta accanto, dove c'è il «campo aperto» di Conte ad attenderli, con il marchio stilizzato a cinque stelle che si fatica a riconoscere. È quello che minacciano di fare i Verdi di Bonelli e la sinistra della sinistra di Fratoianni, che hanno sempre considerato Draghi un banchiere e, soprattutto, bestemmiano per i collegi di Calenda. L'incontro con Letta è saltato e comincia la trattativa sul prezzo. Chi offre di più?

Il Pd si sbraccia per dire che non ci si impicca alle idee. Ce n'è una e basta per tutti. Se vince il centrodestra, o le destre come ormai bisogna dire, c'è la fine del mondo. Come se l'Italia fosse Taiwan. L'importante è raccontarsi le storie giuste e così se Fratoianni davvero lascia Calenda può dire che l'emporio è liberale e pazienza se nel Pd e oltre il Pd, lì dove resiste Bersani, bivacca la vecchia sinistra di potere e ideologia. È così che nel patto di alleanza Pd e «Azione più Europa» hanno rispolverato la convergenza parallela dell'«autonomia programmatica».

È la ragione sociale dell'emporio. I collegi saranno a scatola chiusa. L'elettore che sacramenta contro il nucleare si ritrova a votare chi lo considera una benedizione, e viceversa. Il trucco è l'insegna sbiadita con la scritta «Draghi e compagni».

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