Come prendere (purtroppo) una sòla con la pasta scotta

Il buono? Ci sono i piatti locali (ma mancano i vini) e il cameriere è premuroso. Ma il menù è da trattoria

Come prendere (purtroppo) una sòla con la pasta scotta

Pensare che un tempo Genova vantava il miglior cuoco italiano, colui che da Veronelli venne definito «re dei cuochi, cuoco dei re»: Nino Bergese. Con la Trattoria della Santa nel 1969 si guadagnò due stelle Michelin, e si consideri che in Italia all'epoca locali tristellati non ce n'erano. Per assaggiare la sua anatra all'arancia si sciroppavano molti chilometri Ranieri e Grace di Monaco, Costantino di Grecia, Michele di Romania, e Giangiacomo Feltrinelli, rivoluzionario evidentemente non troppo a disagio in mezzo a tante teste coronate. A leggere le storie gastronomiche si scopre che alla Santa, pur situata in uno dei più popolari anzi plebei caruggi genovesi, vico degli Indoratori, non si faceva una cucina prettamente ligure, al contrario le ricette erano molto francesi: pollo alla Villeroy, sogliola allo Champagne, crêpes, soufflé, brandade... A riprova che l'haute cuisine dominò la nostra alta ristorazione fino a quando Cantarelli e Colombani, Dio li abbia in gloria, non reinventarono la cucina regionale italiana.

Qualcuno si potrebbe domandare perché l'Incontentabile ha fatto una premessa così lunga, col rischio di annoiare il lettore interessato alla cronaca e non alla storia. Io lo so perché: si rifugia nel passato quando è disgustato dal presente. Non la definirei nostalgia, siccome per ragioni anagrafiche alla Santa non si è mai seduto e Bergese l'ha conosciuto sui libri, non di persona. È piuttosto la delusione per ciò che ha bevuto e mangiato nella sua sortita genovese: sicuramente troppo breve (meno di ventiquattr'ore) e mal collocata nella settimana (il sabato sera è saggio cenare a casa e la domenica nelle città è sempre più difficile trovare un ristorante aperto). «Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa...». L'Incontentabile si percuote il petto perché gli amici genovesi lo avevano avvisato: oggi il miglior modo per mangiare genovese è andare a Savona. Non ci aveva voluto credere, pensava fossero i soliti disfattisti, credeva che in una città di 600.000 abitanti, capoluogo regionale e sesto comune italiano per popolazione, fosse impossibile non trovare un bel ristorante dove gustare qualche buon piatto peculiare. Che ci vuole, basta sfogliare le guide, guardare i siti, scorrere i menù e telefonare. Illuso. Alle Cicale la zuppa di pesce è alla provenzale, la panzanella fa pensare alla Toscana, i carciofi alla giudea a Roma, i cannoli alla Sicilia: Liguria dove sei? Al Voltalacarta largheggiano in zenzero e cuscus e non c'era bisogno di venire a Genova per avere zenzero e cuscus: ognuno di noi, che abiti al Nord, al Centro o al Sud, è circondato da ristoranti fieri di usare zenzero e servire cuscus. Mentre al Marin c'è un misto di Oriente e Piemonte, quest'ultimo forse in onore di Oscar Farinetti (è il ristorante di Eataly). A dire il vero anche fosse stato il massimo della genovesità l'Incontentabile non ci avrebbe messo piede, non volendo contribuire in alcun modo, nemmeno nel più indiretto, alle campagne elettorali di Matteo Renzi. Il Genovese ha un nome che fa sperare e un'entusiasmante lista vernacolare: frisceu, panissette, ravioli al tuccu, pansoti con salsa di noci, capunadda, cundiggiun... Purtroppo fanno i turni, al telefono dicono che c'è un tavolo libero alle 19.30 oppure alle 21.30, precisando che in entrambi i casi bisognerà sbrigarsi. L'Incontentabile non crede alle sue orecchie, gli sembra di ascoltare il caporeparto della Sata di Melfi, proprio lui che avendo letto Baudelaire è devoto alla triade lusso-calma-voluttà e che in qualsiasi situazione e figuriamoci a tavola odia chi gli mette fretta. Allora si va all' Enoteca Sola , locale un po' ovunque lodato e definito dall'Espresso «piuttosto elegante».

Come sempre bisognerebbe capire quali sono i parametri estetici dei recensori, o forse andava interpretato il sottosenso di quel «piuttosto». Magari trent'anni fa, quando l'Enoteca Sola era giovane, i quadri alle pareti erano appesi dritti anziché storti. Magari non c'erano quelle foto da agenzia di viaggi. Magari il menù anziché terribilmente plastificato era di carta piacevole al tatto.

Comunque i piatti genovesi ci sono e ci sono anche ingredienti preziosi come il cioccolato di Claudio Corallo. Ma nonostante questo e nonostante i prezzi da ristorante l'esecuzione è da trattoria: la pasta nel minestrone è scotta, gli gnocchi al pesto sono grossolani, la trippa è brodosa e sul ciupin, l'atavica zuppa di pesce, tacere è bello. I vini sono tanti e importanti, la lista propone bottiglie da mezzo mondo e pazienza per la sproporzione con arredi e cibo. Ci sono i vini georgiani, ci sono i vini libanesi, non ci sono i vini genovesi, accidenti! Orfani della Bianchetta chiediamo un Pigato del Ponente che non si riuscirà a finire.

Il sottofondo è «Stella di mare» di Lucio Dalla e altra musica anni Settanta/Ottanta (la colonna sonora polverosa è un problema generale, durante l'aperitivo alla Pasticceria Marescotti l'Incontentabile voleva prendere a sediate le casse che gli scaricavano addosso i Queen con Freddie Mercury). Volendo proprio trovare una nota positiva si segnala il cameriere premuroso.

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