Donne imam che guidano le preghiere canoniche musulmane? Succede già in America, in Cina e nel Nord Europa, dove le imamah dirigono moschee, celebrano matrimoni e predicano anche dinanzi agli uomini. Una rivoluzione silenziosa che potrebbe prendere piede anche in Italia, dove il presidente dell’Ucoii, Izzedine Elzir, citato da La Stampa, si è dichiarato favorevole alla possibilità per le donne di diventare guide spirituali alla stregua degli uomini.
La prima a guidare la preghiera di un gruppo promiscuo di fedeli è stata l'indiana Asra Nomani. Nel 2005, in una moschea della Virginia Occidentale, questa icona del femminismo velato ha rivendicato apertamente, per la prima volta, il diritto delle donne musulmane ad avere un ruolo da protagoniste nel mondo islamico. Del resto, sostengono le attiviste con l’hijab, il divieto per le donne di guidare la preghiera canonica è scaturito soltanto da un’interpretazione “patriarcale” del Corano. Ma non c'è solo la pasionaria di Bombay ad aver realizzato il sogno di lasciare il retro della moschea per trasferirsi in prima fila. A Copenaghen la scrittrice Sherin Khankan, padre siriano e madre finlandese, da un anno è a capo della moschea Mariam, dove recita sermoni e amministra matrimoni. Lo stesso fa, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, Ani Zonneveld, fondatrice di Muslims for Progressive Values. Tra le iniziative promosse da questa guida islamica malese trapiantata a Los Angeles c’è #ImamsForShe, un progetto globale nato nel 2015 per contrastare le “interpretazioni misogine” dei testi islamici che hanno portato, in tutto il mondo, “alla violazione dei diritti delle donne in nome dell’Islam”.
Il presidente della più importante associazione islamica italiana sembra abbracciare questa battaglia progressista. Per Elzir non ci sarebbe niente di strano se fosse una donna a salire sul pulpito, anzi. Proprio l’Ucoii, lo scorso settembre, ha affidato a quattro predicatrici donne un programma sperimentale di educazione spirituale volto a prevenire la radicalizzazione nelle carceri. Ma cosa pensano i musulmani romani di questa svolta rosa? Lo abbiamo chiesto ai fedeli islamici di Tor Pignattara che ogni giorno si danno appuntamento nelle moschee allestite in box e scantinati del quartiere multietnico, per recitare le salat, le cinque preghiere obbligatorie giornaliere dell'Islam. “Esiste la possibilità per le donne di guidare la preghiera, non c’è una norma specifica che lo proibisce - spiega Khan, un ragazzo pakistano appena uscito dalla sala preghiera di via della Marranella. “Gli uomini sono obbligati ad andare in moschea, le donne, invece, possono pregare anche a casa, ed è per questo che il 99% degli imam sono uomini”. “Il rispetto per le donne, invece”, chiarisce, “è una cosa diversa: preferiamo che siedano dietro di noi non perché crediamo che siano meno importanti, ma solo per evitare sguardi maliziosi”.
Non tutti, però, la pensano come questo giovane pakistano dal perfetto accento britannico. Per la stragrande maggioranza degli intervistati, al contrario, l’apertura di Elzir sembra tanto difficile da comprendere, quanto da digerire. Nel centro islamico al-Huda di Centocelle, ad esempio, ci allontanano educatamente. Non vogliono affrontare “un argomento su cui è inutile discutere”. “Donne imam? In tutta la mia vita non ho mai visto una cosa del genere”, risponde un uomo, anche lui pakistano, mentre calza le scarpe all’uscita della moschea. “Le donne possono insegnare anche all’università, ma non possono assolutamente guidare la preghiera degli uomini”, spiega perentorio Mohammed Abdul, del Torpignattara Muslim Centre. Il motivo è che “le donne una volta al mese hanno il ciclo” e in quel periodo sono “impure”, quindi non possono pregare. “È proibito dal corano e da Allah, ed è da considerarsi un peccato”, ribadisce Khalil, che incuriosito dal discorso interrompe la preghiera per dire la sua.
C’è persino chi pensa che le affermazioni del presidente dell’Ucoii sulle donne imam siano soltanto una trovata per “farsi pubblicità”. “È arrivato un nuovo Corano? Dovevano avvisarci”, dice sarcastico un bengalese che incontriamo all’ingresso della moschea-garage di via Alò Giovannoli. “Dicono certe cose solo per apparire in tv: il Corano è stato dettato una sola volta e così deve rimanere”, prosegue serio. Per un altro ragazzo l’ipotesi che a guidare la preghiera sia una donna appare addirittura come un oltraggio. Scuote deciso la testa quando gli chiediamo se sarebbe disposto ad ascoltare il sermone pronunciato da una donna. “Le donne musulmane non possono parlare liberamente con gli uomini come stai facendo tu con noi – ammonisce sussurrando in un italiano stentato - ora sto parlando con te, ma mia moglie, mia sorella o mia figlia non vanno in giro a parlare con gli uomini, a ballare o a bere come fanno le occidentali”.
In questa periferia romana dove l’odore di spezie indiane impregna i vicoli, tra ristoranti cinesi e murales dedicati a Pasolini, il vento di cambiamento che soffia all’interno dell’Ucoii sembra non essere ancora arrivato.
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