Da Sardine a baby pensionati. Il passo è stato brevissimo. A sei mesi dalla fondazione, il movimento creato da Mattia Santori decide di tirare i remi in barca. Troppo faticoso, troppo stressante. Noi, in realtà, ce lo aspettavamo: era facile da prevedere. D'altronde la ragione sociale e politica dei pesciolini rossi era chiarissima, un contratto a progetto, un cocopro: impedire alla Lega di espugnare l'Emilia Romagna. Con la vittoria di Stefano Bonaccini, e con un Carroccio non più in ascesa, Santori e soci non sanno più cosa dire, hanno terminato gli argomenti a disposizione. Alla faccia di tutti quegli opinionisti che avevano sprecato fiumi di inchiostro, e di saliva, per benedire la rivoluzione dal basso che avrebbe terremotato la politica italiana. Il vento giovane che avrebbe rinfrescato la politica di buonismo e politicamente corretto. Invece no, niente di tutto questo, a sinistra nulla si muove, le Sardine non sono il sol dell'avvenire sbucato nella rossa pianura emiliana per far luce tra le tenebre del populismo, erano semplicemente un comitato elettorale del Pd.
Missione compiuta, sardine morte. L'orazione funebre la affida lo stesso fondatore a un colloquio con Repubblica: «Mattia Santori è stanco. Stanco di polemiche e litigi», scrive, accorata, la cronista. E lui rincara: «Sette mesi fa ridevo, ora no». Essì, caro Mattia, effettivamente l'Inps dovrebbe inserire tra i lavori usuranti anche «essere una sardina». Deve essere estenuante fare l'antifascista di professione (in assenza di fascismo) e fare l'opposizione all'opposizione (caso unico al mondo) andando in giro per tutta Italia a dare del cretino a Salvini.
Infatti il riccioluto studente bolognese è provato e vuole una pausa di riflessione: è il momento della crisi. «Il manifesto valoriale è pronto, giovedì lo presentiamo - spiega Santori - Ma abbiamo capito che un manifesto politico oggi porterebbe a nuovi litigi, a tante incomprensioni e a una marea di chiacchiere sterili. Stessa cosa per la struttura. È necessario organizzarci, ma la struttura a cui abbiamo lavorato è oggettivamente precoce per un gruppo di persone che manco si fidano tra loro». Ma come? Che fine ha fatto il movimento di popolo? Dove sono finiti tutti quelli che volevano spazzare via i sovranisti a colpi di sorrisoni buonisti e «manifesti valoriali», quelli che, sentendosi novelli partigiani, volevano impedire agli italiani di sentire le parole dei populisti? Non sono nemmeno entrati in Parlamento e hanno già acquisito tutti i vizi della classe politica: litigano, s'incartano, cercano di farsi le scarpe l'un l'altro.
«Mi sento responsabile di diverse centinaia di persone che aspettano un mio segnale per procedere o retrocedere - scrive Santori su Facebook - Questa responsabilità mi pesa, come mi pesano i dissidi interni, le litigate per i post e le paranoie complottiste. Più rincorriamo i like più caschiamo nella trappola del narcisismo. Nelle petizioni, nei post eterni e nelle prese di posizione io spesso colgo solo tanta frustrazione e saccenza». Il banco delle Sardine è saltato, il collettivismo da assemblea studentesca di liceo occupato si è trasformato in una lotta individualista da prime donne in cerca di uno spazio in tv. E Santori ha paura di finire sommerso dalle «chiacchiere sterili», le stesse con le quali ci ha inondato per mesi da tutte le piazze e da tutti i giornali.
In realtà è stato il burattino della solita sinistra italiana, che si emoziona sguaiatamente non appena nasce un nuovo soggetto politico sessantottesco, e poi lo molla appena non gli serve più. Così, fino alle prossime elezioni, le sardine possono tornare sott'olio. Anzi, sott'odio.
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