Nell'ufficio del futuro la scrivania è intelligente

Cambia il lavoro e anche gli arredi diventano smart, come il tavolo che legge i documenti. Addio posto fisso, ora le postazioni sono ripiegabili

La rivoluzione è già nel nome. Il SaloneUfficio del 2015 si chiama «Workplace3.0» perché nei luoghi in cui lavoriamo la tecnologia è diventata molto più di un elemento importante: è un fattore costitutivo dei processi creativi, produttivi e delle relazioni che ci sono dietro, genera una nuova «weltanschauung» del mondo del lavoro, una visione dell'ufficio diversa. Ed è soprattutto attorno a questa che gli arredi sono modellati.

Il lavoro è a tempo, a progetto, spesso precario ma nello stesso tempo «smart», possibile in orari e da luoghi non fissi, magari lontani, però collegati. Così l'arredo diventa flessibile, mobile: sta finendo l'era delle scrivanie grandi e massicce, buone per chi si ormeggia a vita nel porto sicuro del posto fisso, per dare spazio invece a sedute e piani d'appoggio leggeri (e quindi facili da spostare), minimali, che si ripiegano e si inclinano a seconda delle esigenze.

Non hanno più solo il vano per i cavi – a che servono i cavi con smartphone, tablet e pc portatili con batterie da nove ore di autonomia? ­ ma forme pronte ad accogliere i dispositivi, e persino interagire con questi: catalogare documenti e poi individuarli, leggerli, attraverso apposite app. È quello che fa, a esempio, il tavolo intelligente a forma di nido d'ape della polacca Lorens, inserito in una collezione che non a caso si chiama «The memory of objetcs». Fa tutto da solo. Legge e memorizza grazie a un'applicazione inserita nella scrivania.

E sta finendo, lentamente, l'era della «mia» e della «tua» scrivania: roba che resta per pochi, per tutti gli altri al centro c'è la persona e il compito di lavoro che deve svolgere, ed è da lì che dipendono anche gli strumenti e i luoghi. C'è lo zampino della tecnologia pure in questo, una sorta di «sharing economy» dell'ufficio, che rende il concetto di proprietà superfluo, a favore di quello di condivisione. In questa rivoluzione l'estetica ha il suo peso: si resta convinti, come diceva Dostoevskij, che «la bellezza salverà il mondo», e allora ecco che anche le poltrone di lavoro hanno linee avvolgenti, in tantissime gamme di colori. Il modello – a cominciare dalla solita Google, azienda che tra le prime ha capito che se metti le persone in condizione di essere felici mentre lavorano, lavoreranno di più, e meglio – è quello di uffici coloratissimi, vivaci, personalizzabili, mai in serie: via i moduli prefabbricati, ognuno scelga l'assemblaggio della sedia, e con questo la sua idea di bellezza.

Il salto di paradigma che nasce dall'abbraccio con la tecnologia sta avvenendo nel mondo dell'ufficio in modo molto più lento che in altri settori, a esempio quello dell'auto: dicono gli addetti ai lavori che è

anche una questione di mentalità, di status symbol per molti non rinunciabili, ma anche se siamo all'anno zero il cambiamento ormai è inesorabile: non è più l'ufficio a fare l'uomo, è l'uomo che crea l'ufficio attorno a sé.

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