Niente garmugia? Evviva gli ortaggi di chef Davide

Non ci sono piatti del luogo, ma ci sono piatti buoni. Con cipollotto e aglio cucinati (e presentati) come non mai

Niente garmugia? Evviva gli ortaggi di chef Davide

Pizza, lasagne. Pizza, lasagne. Pizza, lasagne. L'Incontentabile non crede ai suoi occhi. Pizza, lasagne. Pizza, lasagne. Pizza, lasagne. «Ma dove sono capitato?» si domanda. Pizza, lasagne. Pizza, lasagne. Pizza, lasagne. «Non è che anziché in via Fillungo a Lucca sono finito in Lista di Spagna a Venezia?. È un incubo interminabile: pizza, lasagne, pizza, lasagne, pizza, lasagne...

Davanti a un locale di piazza Anfiteatro le lasagne scompaiono ma solo per dare più spazio al piatto più turistico della più turistica coppia di piatti: «PIZZA GIANT». E dietro al cartello acchiappone vede stranieri panzuti fare merenda col gigantesco disco di amido ingrassante. Tutta colpa della letteratura: l'Incontentabile è giunto a Lucca dopo aver ripassato Guido Ceronetti («Zuppa di farro, bietole, olio eccelso. Soltanto a Lucca si può mangiare così bene») senza pensare che dal viaggio in Italia dello scrittore torinese sono trascorsi più di trent'anni. Un altro errore è stato consentirsi di sognare sulla pagina della Guida gastronomica d'Italia (Touring Club Italiano) laddove si parla della garmugia: «È da cercare a Lucca nella tarda primavera quando gli orti offrono i loro prodotti freschi e di migliore qualità. Si tratta di una minestra casalinga molto gradevole composta con fave, piselli, carciofi a spicchi, punte d'asparagi...». La realtà è diversa. Sul menù appeso fuori da quello che secondo gli amici indigeni è oggi il miglior ristorante di cucina lucchese trova battuta di fassona piemontese, capesante con zenzero, spaghettoni con burrata, strudel... Addio garmugia.

L'Incontentabile ha una regola: quando non gli è possibile gustare la cucina del luogo, perché estinta o drammaticamente corrotta, sceglie la cucina del buono e perciò entra al Punto, ristorante di via dell'Anfiteatro, vicinissimo all'epicentro dell'horror turistico. Eppure le pensionate anglo-americane con cappellino in testa e smartphone al collo, incolonnate in gregge dietro alla guida con bandierina alzata, non ci entreranno mai. E non perché ateisticamente avverse alla Madonna della Borsetta, antica immagine mariana sulla facciata della casa, ma perché al Punto non si mangiano né pizza né lasagne, le due grandi calamite del nichilismo gastronomico lucchese. Qui i piatti hanno nomi inusuali, tuttavia semplici, formati dall'elenco dei principali ingredienti che sono spesso toscani anche se poco riconoscibili come tali per la strenua volontà di differenziarsi, di marcare il distacco con la bassa ristorazione circostante.

Ecco i quattro antipasti del giorno: 1) frittatina, asparagi e caviale di senape; 2) hamburger di ceci e ortaggi; 3) carciofo, avena e amaranto; 4) carne cruda panata e cipollotto. Sono poco più che un esempio siccome il giovane cuoco, Damiano Donati, varia il menù spesso, seguendo le stagioni e forse pure la sua inquietudine. Vengono serviti non su piatti bensì su pietre e legni rettangolari. L'Incontentabile, amante delle porcellane raffinate, stavolta concede un paio di attenuanti: 1) i tavoli sono piccoli e i piatti rotondi faticano a starci; 2) Donati ha lavorato alle Calandre dei fratelli Alajmo, che della tavola primitivista sono fautori. Non solo i contenitori, anche i contenuti fanno pensare a una ricerca quasi mistica dell'origine, dell'ingrediente se non della specie. Vengono in mente Redzepi e Atala, cuochi di altre latitudini anch'essi alla ricerca di una sintesi tra paleolitico ed elettronico. Vengono in mente tante cose ma poi viene semplicemente l'acquolina in bocca perchè è tutto molto buono, al Punto. Donati sembra avere una speciale vocazione per gli ortaggi: il cipollotto che accompagna la carne panata e l'aglio che accompagna la quaglia (questa servita su regolamentare piatto tondo) sono il cipollotto e l'aglio meglio presentati e cucinati che l'Incontentabile ricordi. E non è uno spicchietto bensì un aglio intero con tanto di verde e radichette, in teoria quanto di più rischioso per palato, stomaco, alito: come sia possibile divorarlo con piacere immediato e senza conseguenze successive è un mistero dell'alta cucina (della nuova alta cucina). E i vini? L'Incontentabile quando cena in Toscana vorrebbe portarsi la bottiglia da casa, i troppo famosi vini della regione sono fatti per essere idolatrati, non per essere bevuti, e lui idolatra non è. Stavolta però c'è un Chianti (il Monteraponi) che risulta stranamente potabile, bravo chi l'ha fatto e bravo chi l'ha scelto. Si conclude con fragole, yogurt e piccole meringhe che quando leggi è una cosa qualunque e quando assaggi è un godimento perfetto, con assoluto equilibrio tatto/gusto e dolce/acido. L'Incontentabile esce dal Punto con un solo rimpianto: la garmugia.

Ma perché un cuoco così capace e sensibile almeno in primavera non la tiene in carta? Perché mai Donati deve autocensurarsi in questo modo? Il rischio di confondersi con i millanta mangifici limitrofi è nullo, nemmeno le pensionate anglo-americane dei gruppi organizzati potrebbero confondere una zuppa di verdura con una pizza o una lasagna.

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