Nome L'Artigliere

Cominciamo dal dolce, che è meglio. Cominciamo dal dolce che risolleva un pranzo domenicale non entusiasmante nella Bassa Veronese e per la precisione a Isola della Scala che si chiama Isola perché un tempo circondata da paludi (oggi risaie) e “della Scala” perché appartenuta agli Scaligeri, signori di Verona. L'Artigliere si chiama Artigliere perché questo era lo storico nome del locale che Davide Botta gestiva a Gussago, nel Bresciano. Cambiando regione lo chef-patron si è portato dietro anche l'insegna e ha fatto bene: la tradizione, come ha scritto Marcello Veneziani, è l'inverso dell'egocentrismo, e se il nuovo ristorante si fosse chiamato Davide Botta si sarebbe lecitamente pensato all'ennesimo telecuoco vanitoso. Cominciamo dal dolce, quindi, e in particolare dal gelato di zafferano e miele, una sfera di piacere. Lo zafferano è di San Gavino, in Sardegna, il miele non si sa ma cosa importa, per l'Incontentabile questo è il dolce dell'anno. Buoni anche gli altri finepasto sebbene uno contenga lo Speculoos, biscotto tipico delle Fiandre: era proprio necessario arricchire ulteriormente il Benelux? Gli zaleti non andavano bene?

I dolci sono la maledizione dei cuochi, anche i grandi al momento del dessert sovente incespicano, pasticciano. Botta no, e quindi complimenti. Complimenti anche all'esterno dell'edificio, un antico mulino restaurato e dotato di romantico ponticello che scavalca un canaletto il cui gorgoglìo allieta tutto il pranzo. Nessun complimento invece all'interno che sembra disegnato da Calatrava, l'architetto colpevole di aver costruito sul Canal Grande, complice Cacciari, un ponte spezzaossa per il quale è stato condannato dalla Corte dei Conti a un maxi-risarcimento. Anche qui a Isola come a Venezia c'è tanto vetro laddove non ci dovrebbe essere, ossia sotto i piedi. Le scale sono un invito a perdere l'equilibrio e la signora che sovrintende alla sala avverte che uscendo dal bagno bisogna fare attenzione: è capitato che qualche cliente gridasse terrorizzato, temendo di cadere nel vuoto. Certi progettisti più che architetti sono attentatori, se un'architettura anziché benessere produce disagio, anzi paura, è un'architettura sbagliata, un'architettura pericolosa. L'Incontentabile è un sincero liberale e crede che in un contesto privato ognuno abbia il diritto di scatenare il proprio masochismo. Ma in un locale pubblico questo non può essere consentito, la libertà dell'architetto e del committente deve fermarsi davanti alla libertà del cliente di non mettere a rischio femori e coronarie. Nessun complimento al servizio. La succitata signora non sa rispondere a una domanda elementare. Leggendo fra gli antipasti «culaccia, salame e giardiniera» viene spontaneo chiedere di quale salame si tratti. Non esiste regione italiana che non produca i suoi salami peculiari, nel solo Veneto esistono il salame d'asino (presidio Slow Food), il salame di cavallo, il salame veronese, il salame bellunese, il salame padovano, il salame di Trecenta (nel Polesine), più gli innumerevoli tipi di sopressa, che pur sempre salame è. A domanda la signora risponde: «È salame». Certo, Gertrude Stein scrisse che una rosa è una rosa è una rosa, quindi anche un salame è un salame è un salame, ma, di grazia: che tipo di salame è? Se vuole chiedo in cucina... Non si scomodi, grazie lo stesso. Nessun complimento nemmeno alla carta dei vini, assurdamente toscanocentrica. Siamo in Veneto, il cuoco è lombardo, nelle pagine dei rossi è un diluvio di Tignanelli e Brunelli. Se esiste una logica essa è misteriosa: l'Incontentabile ha evitato di chiedere lumi alla signora per non sentirsi rispondere che avrebbe chiesto in cucina. Alla fine si beve un Soave Pieropan e un Valpolicella ancor meno memorabile, di cui infatti non ci si ricorda il nome.

Dunque, se l'Incontentabile desse i voti l'architetto prenderebbe zero, il pasticcere otto, la cameriera quattro e sei il cuoco (non importa che sia la stessa persona che prepara i dolci: sei). Sulla tovaglia di taffetà lucidone (l'eleganza a tavola vorrebbe l'opaco), tra una finta rosa azzurra e l'altra vengono posizionate tavolette rettangolari, spigolose, respingenti, cariche di stuzzichini e giochini che all'Incontentabile sembrano visti e stravisti, non alle commensali di sesso femminile che invece approvano l'Aperol Spritz sotto forma di gel. Simili trovatine sono come le barzellette: sopportabili solo se inedite. Quando si mangia da troppi anni in troppi ristoranti è fatale che le barzellette gastronomiche si siano sentite più o meno tutte, mentre il cliente non aduso all'alta cucina è più facile da stupire. Venendo alle portate serie, la giardiniera che accompagna i salumi è da encomiare così come la sezione della carta dedicata al riso. Isola è patria del vialone nano veronese e l'Artigliere è un ex mulino dove il riso si lavorava pertanto è inevitabile ordinare: 1) il savarin di riso coi saltarelli fritti (microgamberi d'acqua dolce), interessante però lo si sarebbe preferito più morbido e servito intero anziché in tre leziose microporzioni; 2) il risotto con la zucca, più difficile da criticare.

Passando ai secondi, il baccalà è troppo reinterpretato per essere giudicabile (mancano i parametri), mentre «crudo, quasi cotto e bollito di Garronese Veneta» (bovino locale) soffre della mania decostruzionistica, creativistica e novantiana dello chef e magari è solo un problema formale, intellettuale: gastronomicamente niente da dire. Poi comunque c'è il gelato di zafferano e miele che, per qualcuno più contentabile dell'Incontentabile (ad esempio gli entusiasti della Guida Espresso e di TripAdvisor, per una volta d'accordo) può valere il viaggio.

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