"Non incolpiamo l'Italia". Così l'Oms voleva blindare Speranza

Ranieri Guerra e la collega Salvi cercarono di modificare il report dell'Oms prima della pubblicazione: "Troppo sensazionalistico"

"Non incolpiamo l'Italia". Così l'Oms voleva blindare Speranza

Un certosino lavoro di limatura per evitare di irritare il governo italiano. Sembra questo l’intento che guidava Ranieri Guerra e la funzionaria dell’Oms Cristiana Salvi mentre leggevano, e correggevano, il report dei ricercatori di Francesco Zambon sulla risposta italiana al Covid. È quanto emerge da alcune chat e dalla stessa "bozza" del lavoro di cui ilGiornale.it è venuto in possesso in alcune sue parti.

I somarelli di Venezia

Le correzioni nella versione condivisa del report risalgono all’11 maggio del 2020, due giorni prima che il report venisse pubblicato e subito ritirato dopo appena 24 ore online. Zambon, infatti, non diede seguito ai suggerimenti di modifica dei due colleghi dell’Oms ("alcune cose non possono essere taciute"), prendendosi così la responsabilità di provocare il "disappunto del governo". Atto di coraggio che gli causerà l’isolamento nell’Oms e infine le dimissioni dall’ente di cui aveva denunciato la mancanza di indipendenza. Stando alle carte, infatti, Guerra si adoperò in più di una occasione per affossare il dossier dei "somarelli di Venezia" per compiacere il governo italiano. Se prima della pubblicazione cercò di farlo modificare, subito dopo si diede invece da fare per “farlo cadere nel nulla”, addirittura inviando "scuse profuse" a Speranza, scrivendo sms a Silvio Brusaferro e incontrando il capo di gabinetto del ministro per concordarne il destino ("vuole farlo morire").

La pressione dei media

Come rivelato dal Giornale oggi in edicola, tra le preoccupazioni dei due esponenti dell’Oms c’era il desiderio di “cancellare” i meriti di Zaia e del suo Veneto per coprire invece gli errori del governo Conte I. Ma non solo. Tra le parti finite nel mirino c’era anche il paragrafo 3.5, quello riferito alla capacità ospedaliera dell’Italia. Il 3 aprile, si legge nel report, il Belpaese contava 4.068 pazienti in terapia intensiva e al Nord i 2.842 intubati corrispondevano al 113% dei letti disponibili prima del Covid. Praticamente il sistema era al tracollo: ed è la pura verità. La Salvi però evidenziò in giallo un passaggio chiave, questo: “Ciò ha catturato molta attenzione da parte dei media e ha favorito la mobilitazione immediata delle autorità regionali e nazionali”. Così, si preoccupava infatti la funzionaria, “sembra che [il governo] abbia agito a causa della pressione dei media”. Dove sarebbe la bugia? "In Italia non è mai esistita alcuna comunicazione del rischio", spiega infatti Robert Lingard, consulente del team di legali delle vittime di Bergamo che ha scovato il report dopo il suo ritiro. "Si è passati direttamente ad una comunicazione d'emergenza e si è sempre lavorato per sdrammatizzare o minimizzare. Addirittura si facevano le campagne per non fermare il Paese. Gli unici ad aver ha fatto prevenzione sono stati i cronisti che documentavano quotidianamente l'aggravarsi della situazione negli ospedali. Ma li si è voluti dipingere come allarmisti che danneggiavano l'interesse nazionale. Il risultato sono 115 mila morti ed interi comparti produttivi in ginocchio".

Roberto Speranza e Mario Draghi

"Abbiamo cercato di giustificare..."

A pagina 19, invece, il report parlava della scoperta del paziente 0 di Codogno. Come rivelato a suo tempo dal Giornale.it, le linee guida del ministero non prevedevano nel suo caso l'effettuazione di un test. Mattia, infatti, non era stato in Cina e non aveva avuto contatti con positivi. Zambon nel dossier riconosce l'intuizione della dottoressa Malara, sottolineando che era "andata oltre le linee guida del ministero". Un fattore che aveva "dimostrato come la definizione del caso nel sistema di sorveglianza della diagnosi precoce non era abbastanza sensibile per rilevare questo nuovo coronavirus". Ma anche su questo la Salvi ebbe da ridire: "Finora sui media - scrisse nella bozza - abbiamo cercato di giustificare quanto accaduto senza incolpare l'Italia. Questo sarà molto critico sia per noi che per il Paese".

"Non può uscire così"

Che Guerra e la Salvi intendessero edulcorare il report di Zambon per nascondere la malmessa gestione italiana emerge ormai da più atti contenuti nel fascicolo dell’inchiesta della procura di Bergamo che nei giorni scorsi ha anche indagato lo stesso Guerra per false dichiarazioni rese ai pm. In uno scambio di mail tra Salvi, Guerra e Zambon, la funzionaria metteva in allarme per un possibile “disappunto del governo” qualora il dossier fosse stato pubblicato senza il via libera dell’esecutivo. "Credo che prima di far uscire un rapporto così articolato sull'esperienza in Italia - si legge - non possiamo non condividerlo col ministero: non si tratta di una panoramica sul rapporto Oms ma sull'operato del governo, dunque riguarda il governo da vicino. Potremo sollevare il disappunto del governo altrimenti". E ancora: "Francesco... il rapporto è estremamente dettagliato e ricco. Io penso che abbia un notevole potenziale ma conoscendo il campo di azione vedo questo rapporto come una vera e propria bomba mediatica. Ranieri e io abbiamo cercato di arginare le critiche che questo rapporto denuda completamente. Il mio suggerimento è di rivedere il tono e mitigare le parti più problematiche".

I timori di Guerra e Salvi erano infatti numerosi. L’ex direttore aggiunto dell’Oms, ormai scaricato dall’Organizzazione e definito semplice "consigliere speciale", faceva presente a Zambon che “siamo in una fase estremamente delicata, dobbiamo pesare le parole in maniera molto cauta, soprattutto se rimangono scritte e se lo sono su un documento ufficiale dell’Oms”. Guerra avvertiva il ricercatore, quasi a mo’ di minaccia, che "sto per iniziare col ministro il percorso di riconferma parlamentare (e finanziaria) del centro di Venezia e non vorrei dover subire ritardi o contrattacchi da parte di chi non ci vuole bene".

Le cancellature di Guerra

Non solo. Con due linee rosse Guerra cancellò le parole "l'Italia non era totalmente impreparata" e quelle riferite alla strategia italiana secondo cui "il piano, comunque, rimase più teorico che pratico con pochi investimenti o traduzione delle intenzioni in misure concrete". La Salvi invece dal canto suo definì "un’altra accusa" l’affermazione secondo cui in Italia "c’è voluto fino all’8 marzo perché il governo proibisse le visite dei familiari agli ospiti nelle residenze per anziani". Infine, riteneva pure "troppo sensazionalistiche" le affermazioni sui "corpi accatastati" e "senza una sepoltura dignitosa", in riferimento ai morti italiani per coronavirus: "Non penso che possiamo dire così". Sempre per la Salvi, dire che il tracciamento nella prima fase nella prima ondata venne fatto "con carta e penna" nella totale "improvvisazione" era una considerazione "politicamente scorretta". Secondo il report di Zambon, infatti, in Italia prima che venisse centralizzato il sistema di tracciamento "sorsero iniziative in tutto il Paese in un mosaico di sistemi improvvisati nell’ambito dei quali si utilizzavano carta e penna o un foglio di calcolo Excel ad hoc. I criteri variavano da luogo a luogo, bisogna arrivare alla metà di marzo prima che i dati del tracciamento venissero raccolti in una piattaforma di base sul web".

Secondo l'Agi, è sempre Salvi a chiedere agli autori “Si possono abbassare i toni?” in relazione all’affermazione che “mentre si mettevano a punto i criteri per i test, il tracciamento e l’isolamento che sarebbero stati formalizzati in un dpcm, ciascuna regione procedeva per proprio conto”.

Piccola domanda: se era la verità, perché gli esponenti italiani dell'Oms cercarono di edulcorarlo?

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