La nuova politica dell'attesa infinita

L'attesa di riprendersi la propria vita può essere essa stessa un esercizio di libertà individuale. Chi l'avrebbe detto che uno slogan da happy hour sarebbe diventato motivo di speranza nell'ora più buia.

La nuova politica dell'attesa infinita
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L'attesa di riprendersi la propria vita può essere essa stessa un esercizio di libertà individuale. Chi l'avrebbe detto che uno slogan da happy hour sarebbe diventato motivo di speranza nell'ora più buia. Se nella prima fase dell'emergenza la parola chiave era sacrificio (ricordate, «stiamo distanti oggi per riabbracciarci domani», era il mantra), nella seconda ondata la virtù sta nella pazienza. Perché il nuovo Dpcm sposta ancora più in là gli orizzonti di una normalità da riconquistare. La prima scadenza sembra dietro l'angolo. Nel giro di due settimane, assicurano scienziati e governatori, tutte le Regioni passeranno al «giallo». Poi è la volta del 7 gennaio, quando la maggior parte degli studenti dovrebbe fare ritorno in aula. Infine c'è il traguardo del 15 gennaio, quando si spera (con inguaribile ottimismo) che le restrizioni attuali vengano alleggerite o rimosse del tutto. Intanto, il mondo intero resta con il fiato sospeso fino a quando sarà realtà la somministrazione di massa del vaccino che ci condurrà fuori dal tunnel del Covid.

Date già segnate in rosso, un nuovo spartiacque per tutti, da chi reclama diritti fondamentali come quel figlio che chiede soltanto di rivedere i genitori in una Regione lontana, a chi rivendica necessità in apparenza banali, come godersi una seconda casa o la prima sciata della stagione. Ma quando si parla di libertà, in fin dei conti, non ha senso stilare graduatorie di legittimità. L'attesa riempie il tempo e le aspettative delle persone, indipendentemente dall'obiettivo da raggiungere.

L'arte del saper aspettare per raccogliere un domani i frutti dell'impegno quotidiano è forse la cifra che avvicina la buona politica a molti altri nobili mestieri, e come questi ultimi pare ormai in via d'estinzione. Perché un conto è pianificare gli effetti di una precisa strategia collocandoli nella giusta casella temporale, un altro è rimandare l'appuntamento con la verità dei fatti in un futuro più o meno definito. Significa prendere in prestito la fiducia dei cittadini. Come il marketing ha intuito in anticipo, anche la politica, che si giocava i consensi bruciando ogni opportunità nel «qui e ora», ha concluso che mai come in questo momento conviene coniugare i verbi al futuro, anzi al futuro anteriore: «Se rispetteremo le regole il rischio di una terza ondata sarà stato scongiurato», è il succo dell'ennesimo appello del premier Conte alla nazione.

Dalle care vecchie promesse dunque si è arrivati ai futures.

Alla scommessa o all'azzardo, per milioni di italiani, di uscire indenni da un prolungato lockdown degli affari e degli affetti. È la sfida di vivere un Natale che assomiglia all'ultima Pasqua, non tanto e non solo poiché come ad aprile saremo confinati in casa, da trascorrere nell'attesa infinita di una vera resurrezione.

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