Ora sul tavolo di Conte tornano le "zone rosse"

Dopo un altro picco di contagi Latina chiusa per due settimane: è il primo "mini lockdown". E il governo non esclude un ritorno alle zone rosse

Ora sul tavolo di Conte tornano le "zone rosse"

Adesso il premier Giuseppe Conte dovrà vedersela con le nuove restrizioni per fermare l'avanzata dei contagi. Una settimana di tempo per decidere quali norme includere nel prossimo Dpcm del 15 ottobre. E già si parla di limitazioni ad eventi pubblici e spettacoli teatrali, oltre che ingressi scaglionati sul posto di lavoro per cercare di evitare affollamenti sui mezzi pubblici. Misure che, a detta dei tecnici che lavorano a stretto contatto con l'esecutivo, potrebbero anche non bastare. Tanto che si torna a parlare di "zone rosse". Se infatti le Regioni possono liberamente decidere se procedere con "mini lockdown", il governo sta studiando la possibilità di chiuidere porzioni di territorio per circoscrivere la pandemia.

L'incubo di nuove zone rosse

Dopo il bollettino di ieri, l'Italia si trova a un passo dalla soglia massima di positivi giornalieri che l'Oms e alcuni esperti avevano fissato a 5mila. Oltre questo numero non sarebbe infatti possibile tracciare i contatti dei soggetti positivi al Covid. Gli ultimi dati parlano di ben 4.458 casi nelle ultime 24 ore, mentre il giorno precedente erano 3.668. Quasi mille casi in più. E lo spettro di nuove zone rosse si fa sempre più vicino. Intanto però, per cercare di controllare la situazione, cominciano ad essere varati i primi lockdown locali, come nel caso di Latina che, a partire dalla mezzanotte di ieri, rimarrà chiusa per due settimane. Un’altra possibilità è quella di dichiarare zona arancione quelle regioni in cui la curva epidemiologica è preoccupante. In questo modo, come sottolineato dalla Stampa, le attività lavorative e produttive possono continuare all’interno dei confini regionali. Lo stesso avvenne per 3 giorni lo scorso marzo, poco prima del lockdown nazionale. In Campania il record assoluto dei contagi giornalieri con 757 casi, seconda la Lombardia con 683. E per quanto riguarda i ricoveri, +143 e +21 nei reparti di terapia intensiva. Lento l’aumento dei morti che ieri sono stati 22, anche per il fatto che i soggetti positivi hanno una età media di 42 anni. In pratica, il virus non avrebbe ancora raggiunto la popolazione considerata anziana e quindi maggiormente a rischio. Per evitare che ciò avvenga, i tecnici stanno pensando a quali norme più restrittive dovrebbero essere adottate.

In primis gli eventi di massa. A preoccupare nel corso del prossimo fine settimana sono la Marcia PerugiAssisi della pace e della fraternità che si svolgerà domenica 11 ottobre, e la manifestazione dei negazionisti prevista a Roma. Logico pensare che, nel secondo evento, non saranno molti i manifestanti che indosseranno la mascherina. Ma le forze dell’ordine della Capitale sono già pronte a staccare sanzioni di 1000 euro a tutti coloro che si rifiuteranno di utilizzarla. Il Cts è dell’idea che tutte le manifestazioni che prevedono grandi aggregazioni di persone dovrebbero essere riviste. Si intendono anche gli eventi sportivi. La soglia di mille persone per gli eventi all’aperto potrebbe scendere. Anche per quelli al chiuso, i matrimoni, i funerali, i cinema e i teatri, si sta cercando di pensare a cosa fare. L’idea in effetti più logica è quella del governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che parla di soglia massima in base alla capienza dei luoghi utilizzati. Per esempio, un teatro che può contenere mille spettatori, è assurdo che possa averne solo 200, al apri di un altro teatro molto più piccolo. Ma il ministro della Salute, Roberto Speranza, non sembra andare verso questa soluzione. Ma c’è ancora qualche giorno per pensare. Sembra invece ormai confermata l’ordinanza che prevede l’obbligo di tampone a coloro che arrivano in Italia da Paesi quali Belgio, Paesi Bassi, Regno Unito, Irlanda del Nord, Repubblica Ceca, Spagna e Francia.

Latina in lockdown per due settimane

In caso di superamento stabile delle soglie previste, potrebbero scattare le famose zone arancioni. Ieri la Regione Lazio, dove dallo scorso 4 ottobre nella provincia di Latina si è registrato un aumento del 155% dei casi positivi, ha deciso che in quella zona saranno ammesse al massimo 20 persone nelle feste private e solo 4 nei bar e ristoranti. Questi ultimi dovranno chiudere anticipatamente, a mezzanotte. Il Comitato tecnico scientifico starebbe pensando di estendere la chiusura anticipata di queste attività a tutto il territorio nazionale, con il divieto di asporto di alcolici dalle 22. A Latina, nelle strutture di ricovero si potrà entrare solo in casi eccezionali e con autorizzazione scritta da parte del responsabile sanitario. Scaglionati anche gli ingressi a palestre, scuole di ballo e attività di natura sportiva al chiuso.

Divieto di assembramento davanti a scuole e luoghi pubblici. Raccomandato inoltre il lavoro agile, se possibile, nelle aziende con sedi sul territorio della Provincia di Latina. Come ha spiegato Alessio D’Amato, assessore alla Sanità, “L'ordinanza del Presidente è una misura necessaria per contenere i numeri del virus che nell'ultima settimana hanno fatto registrare un aumento considerevole. Le misure richieste dalla Asl e contenute nell'ordinanza sono destinate a garantire il contingentamento e il distanziamento sociale al fine di prevenire un ulteriore aumento dei casi. Confidiamo in uno spirito di collaborazione e nell'attivazione degli opportuni controlli da parte delle Istituzioni preposte indispensabile, in questa fase, rispettare queste regole che non vogliono minimamente essere punitive, ma di prevenzione per evitare ulteriori e più gravose limitazioni sull'intera provincia”. Damiano Coletta, sindaco di Latina, ha asserito che “è necessario riacquisire quel grado di attenzione e consapevolezza da parte dei cittadini di Latina e provincia, l'incremento dei contagi potrebbe essere causato dalla bolla turistica che la città e la provincia hanno registrato durante l'estate”.

Il governo ancora diviso

La capienza all’80% sui mezzi pubblici non sarebbe al momento da rivedere, nonostante alcuni sindaci, come il primo cittadino di Milano Beppe Sala, non è certo che sia del tutto giusta. Di pochi giorni fa le immagini di una stazione Cadorna presa letteralmente d’assalto da una moltitudine di passeggeri. A detta di Sala, l’80% era stato rispettato. Intanto, Conte ripete da giorni che non ci sarà un altro lockdown nazionale. Vero è che il governo, anche su questo, è diviso. Speranza e Franceschini sarebbero per adottare norme più restrittive, altri invece vorrebbero ridurle al minimo, per non intaccare ulteriormente la libertà delle persone e l’economia del Paese, già messa in ginocchio. Insomma, fino all’ultimo minuto possibile sembra non ci sarà una presa di posizione netta. E forse, come eravamo stati abituati durante la piena emergenza, il nuovo Dpcm verrà annunciato la notte del 15 ottobre.

Sul piatto della bilancia, da una parte c’è la possibilità di dare norme uguali a tutte le regioni italiane, mentre dall’altra quella di differenziare gli interventi. Adesso l’importante sembra controllare i luoghi della movida e cercare di evitare la diffusione del virus tra familiari e conoscenti. Il ministro Boccia, in conferenza Stato-Regioni, ha chiesto: “Lavoriamo insieme sul prossimo Dpcm”. In questo momento le priorità sarebbero la scuola e il lavoro. Come sottolineato da Repubblica, gli scenari possibili sono quattro, tra i quali quello che prevede che la trasmissibilità del virus sia sostenuta e diffusa, ma comunque tranquillamente gestibile dal sistema sanitario nel breve o medio tempo. Secondo gli esperti del Cts, in alcune regioni si potrebbe arrivare a “zone rosse e lockdown temporanei con riapertura possibile solo se accompagnata da riduzione dell'incidenza dell'Rt sotto i valori di soglia”. Attività sociali e culturali, considerate a maggior rischio assembramenti, potrebbero venire chiuse. Così come per alcune attività produttive. Le scuole non sembra che rischino la chiusura. Potrebbe invece diventare obbligatorio l’uso della mascherina anche in classe, nonostante ci sia il metro di distanza, e sospendere alcun elezioni, come quella di educazione fisica e musica.

Inoltre le ore di lezioni potrebbero essere scaglionate nell’arco della giornata, quando non si può ricorrere alla didattica a distanza. Nel caso in cui si dovesse raggiungere un numero di casi eccessivo e un valore dell’Rt superiore a 1,5 per più di tre settimane, scuole e università chiuderebbero subito.

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