Un desiderio che fa un po' sborone, non c'è che dire, ma di che stupirsi in fondo se conosciamo gente disposta a spendere per affittare una Rolls Royce o una Ferrari per un solo giorno o per chiedere al suo idolo di cantare alla festa di compleanno? Quando ero bambino, negli anni '60, una famosa ditta di dolciumi ci prometteva una giornata col campione e può darsi che qualcuno l'abbia anche vinto un pomeriggio con Mazzola, Rivera o Gigi Riva.
Ciascuno insomma ha i propri sogni e quello dell'anonimo signore che destina ben 80mila euro alle casse del Louvre per vedersi la Gioconda da solo o accompagnato da un'altra persona, senza il vetro di protezione, senza le solite rotture degli smartphone, insomma in santa pace, mischia il coatto con il sublime. Coatto perché dimostra ancora una volta che con i soldi si può tutto, sublime perché invece di spaparanzarsi a bere champagne nella Jacuzzi come Scarface, l'eroe di giornata insegue il sublime, l'arte, il genio di Leonardo.
È questa la vendita di punta della geniale asta Bid for the Louvre organizzata da Christie's, partita da una base d'asta di 30mila e aggiudicata a 80. Finalmente si è capito che crowdfunding e donazioni spontanee non bastano più e che chi spende vuole qualcosa in cambio, magari un'emozione particolare. 24 lotti della collezione (di intoccabile oggi non c'è nulla) sono stati venduti, con particolare risalto per un dipinto di Pierre Soulages battuto a 1,4 milioni di euro. Altri incanti del tutto particolari: 38mila per una passeggiata a lume di candela nel museo, 42mila per la visita ai tetti insieme all'artista JR, 16mila per la guida d'eccezione, il direttore Jean-Luc Martinez, più cena al ristorante di Alain Ducasse.
Qualcuno tra i puristi storcerà il naso (e possiamo immaginare chi) eppure gli toccherà accettare questa nuova realtà. Rien ne va plus, i soldi sono quasi finiti, le risorse pubbliche scarseggiano e per giunta il Covid ha esplicitato l'urgenza di pensare al museo come a qualcosa d'altro da collezioni e mostre dove la gente prima o poi tornerà ad accalcarsi. Per sopravvivere c'è bisogno di offrire servizi a 360 gradi, ivi compreso quel lato emozionale ed esclusivo riservato ai pochi fortunati che cercano qualcosa di diverso e perciò sono disposti a mettere mano al portafoglio. Mica tutti i giorni, una tantum, ne resta ben di tempo per tornare all'agognata democrazia della cultura per le masse.
Invece di buttare dalla finestra euro per aperitivi e cocktail, la strategia di posizionarsi periodicamente sulla sfera del lusso mi pare molto indovinata. Sono modelli innovativi che vanno di pari passo con inedite forme di comunicazione e non mi riferisco alle noiose visite virtuali ma alla produzione di contenuti altri. Persino Facebook, Instagram e le dirette non bastano più, la nuova frontiera si chiama Tik Tok, il social «vietato ai maggiori» cui stanno guardando alcuni tra i più importanti musei al mondo, i paludatissimi Uffizi, il Metropolitan di New York, il Rijksmuseum di Amsterdam e la Galleria Nazionale di Roma.
Nessuno ha ben chiaro come sarà il dopo pandemia, certo è che tocca attrezzarsi e in fretta. I francesi, come per la critica, non hanno paura di rischiare e intraprendono per primi un processo di trasformazione ormai impellente.
Una visione della cultura che ci piace molto, dove nulla è sacro (al di là del rispetto per Monna Lisa, che di sicuro soffre meno con un visitatore solitario rispetto alla folla rumorosa di sempre) e dove l'arte e la cultura divengono strumenti attivi per la ricerca di denaro, superando quella soglia di passività che troppe volte ce le rende pesanti. Siamo o non siamo in un'economia di libero mercato? Siamo o non siamo popolo di ingegno e fantasia che prova a venderti il Colosseo senza spostarlo da Roma?
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