La penultima speranza mutilata dai populisti

La penultima speranza mutilata dai populisti

Ieri ho litigato con un tassista grillino romano («Meglio un onesto incompetente che un competente corrotto») e non sono poi riuscito ad essere amabile nel corso di una rievocazione televisiva sul tempo che fu. Mi rendo conto di essere un superstite della prima metà del secolo scorso, quando ci spedivano a scuola su banchi di legno col buco per calamaio e pennini. Vissi in calzoni corti il giorno di Superga, la morte di Stalin e la guerra di Corea (quella vera), sopravvivendo all'ossessione calcistica delle radio nei tumefatti pomeriggi domenicali. Non è cambiata soltanto la geografia politica dopo il crollo del castello sovietico, ma sono marciti il Paese stesso e noi italiani, mutilati dalle mutazioni. Non è accaduta la stessa cosa nei Paesi limitrofi, ma a noi - periferia del Pil e delle idee sì. Gettatosi senza ciambella nell'arena di Harvard, Luigi Di Maio ha balbettato in napoletano depresso. Ma, una volta in casa, tutti urlano che è colpa di qualcun altro e digrignano orgogliosi il mantra del nulla. Oggi nessuno si sa più spiegare perché l'arrivo di Silvio Berlusconi fu un evento rivoluzionario e non reazionario. E perché i liberali e la gente allora di sinistra lo applaudirono sperando.

Per levarselo poi dalle scatole hanno dovuto confezionare pallettoni ad personam, ma quello resiste e rilancia la supremazia liberale sulla pappa facile del populismo. La speranza è la penultima a morire, ma è primavera. E noi ci chiediamo: riusciranno i nostri eroi a ripartire dalla casella numero uno e ricominciare da capo?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica