Perché col piccolo Julian è morta anche la speranza

Perché col piccolo Julian è morta anche la speranza

Avevamo tutti tirato un sospirone di sollievo ieri mattina sapendo che il piccolo Julian era vivo. Quel bambino dall'aria seria e dolce, col cappellino blu e l'Union Jack sopra, tra stelline bianche sparse. Il bambino che per strada, appena sentiva un po' di musica - ci avevano raccontato -, si metteva a ballare. Ci aveva fatto venire voglia di metterci a ballare anche noi, di gioia. Aveva 7 anni Julian. È una tappa importante nella vita, il primo settennio. È quello (spiegano tra gli altri medicina e pedagogia steineriana) dove si forma una prima parte, decisiva, dell'Io. Quella in cui nasce la fiducia nella vita, la convinzione che: «Il mondo è buono». Il ritorno alla vita di Julian aveva fatto tornare un po' in vita anche noi, più che appesantiti dalle notizie degli ultimi giorni. Cosa può fare tornare la speranza più di un bambino, per giunta così dolce e allegro, poetico, in giorni dove ogni poesia è distrutta, assieme alla vita? Altro che i buoni proponimenti dei presidenti, le informazioni dei servizi, le valutazioni degli strateghi. Il sorriso di quel bambino sintetizzava tutte le ragioni per farcela, e la certezza (irrazionale, certo: e allora?) che ce l'avremmo fatta, come lui. Invece no. Julian è morto. E noi siamo atterriti. Adesso è giusto piangerlo quel bambino, darci tutto lo spazio per questo lutto, ancora più crudele. Perché ha anche il sapore di un tradimento della speranza. Che non ha più, dalla sua parte, questo testimonial straordinario, questo bambino che appena sentiva un po' di musica si metteva e ballare per strada, nelle nostre strade di un'Europa con poca musica e quasi niente bambini. La sua morte è anche simbolicamente insopportabile, tanto più poche settimane dopo la soppressione di Stato in Gran Bretagna di Charlie Gard. Un altro «bellissimo bambino», come lo hanno ricordato i genitori annunciando alla stampa che l'Hospice aveva staccato la spina. Sarebbe comunque morto, ma intanto era vivo. Quando capiremo che i bambini sono sacri? Non è dunque sentimentalismo dare tutto lo spazio che merita al dolore fortissimo, umanamente e simbolicamente, che ci dà la morte di Julian Cadman, 7 anni. In analisi sappiano bene che solo dando pieno spazio al dolore è possibile trasformarci, rinascere. È anche la lezione del Cristianesimo, dalla Resurrezione. Che passa appunto dalla morte, dalla croce. È la nostra forza, tutto ciò che abbiamo. Ma non può essere la morte dei bambini, anzi non deve più esserlo. Sono le vecchie cose, le vecchie ipocrisie, le vecchie finzioni, i vecchi opportunismi, le vecchie viltà senza nessuna forza e nessuna poesia che devono finire, essere abbandonate.

Rivogliamo le nostre strade, a Barcellona come a Londra, Parigi, ovunque. Non per ubriacarci, drogarci o pestarci a morte, né per lasciarci uccidere da chi ci odia. Le vogliamo per noi, per vivere. E perché i bambini come Julian, ascoltando il la di una canzone, si mettano a ballare.

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