Pochi figli, immigrati in calo e disoccupati raddoppiati: l'Istat fotografa l'Italia

L'Istat fotografa l'Italia: sempre più giovani italiani lasciano il Paese. E diminuiscono anche gli immigrati

Pochi figli, immigrati in calo e disoccupati raddoppiati: l'Istat fotografa l'Italia

Lo sapevamo già ma i numeri fanno sempre un certo effetto: l'Italia si conferma uno dei Paesi più vecchi al mondo. Con 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni, abbiamo uno degli indici di vecchiaia più alti al mondo. Tra i Paesi europei solo la Germania ha un valore più alto (158) mentre la media Ue 28 è 116,6. Lo scrive l’Istat nel Rapporto annuale. La speranza di vita è di 79,6 anni per gli uomini e 84,4 per le donne. Anche in questo caso il Belpaese è sopra la media europea. Dal 2006 al 2013 il numero totale di famiglie cresce del 7,6%, passando da 23 milioni (in media 2006-2007) a 25 milioni (in media 2012-2013). Contemporaneamente, prosegue la diminuzione del numero medio di componenti per famiglia, che si attesta nel 2011 a 2,4, con punte massime in Campania (2,8) e minime in Liguria (2,1).

Sono sempre più numerosi i nostri connazionali che si trasferiscono all’estero, e calano i rientri: nel 2012 gli italiani di rientro dall’estero sono circa 29 mila, 2 mila in meno rispetto all’anno precedente al contrario, è marcato l’incremento dei connazionali che decidono di trasferirsi in un paese estero. "Il numero di emigrati italiani - scrive l'Istat nel rapporto - è pari a 68.000 unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed è cresciuto del 35,8% rispetto al 2011. Le migrazioni interne dal Mezzogiorno verso il centro-nord comportano un ingente trasferimento di capitale umano: permane infatti un saldo migratorio sempre negativo che, in media, nel decennio 2003-2013 è pari a 87 mila unità all’anno".

Dall'altro lato va registrata la diminuzione degli ingressi di stranieri, effetto anche questo della crisi: 321mila nel 2012, il 27,7% in meno rispetto al 2007. È in aumento inoltre il numero di stranieri che lasciano lo stivale: circa 38 mila cancellazioni nel 2012, +17,9% rispetto all’anno precedente. "Il numero di emigrati italiani - si legge nel rapporto - è pari a 68.000 unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed è cresciuto del 35,8% rispetto al 2011. Le migrazioni interne dal Mezzogiorno verso il centro-nord comportano un ingente trasferimento di capitale umano: permane infatti un saldo migratorio sempre negativo che, in media, nel decennio 2003-2013 è pari a 87 mila unità all’anno".

Sempre meno nascite nel Belpaese. Nel 2013 si stima che saranno iscritti all'anagrafe per nascita poco meno di 515 mila bambini, circa 64 mila in meno in cinque anni e 12 mila in meno rispetto al minimo storico delle nascite registrato nel 1995. "Le donne italiane in età feconda fanno pochi figli - si legge -, in media 1,29 per donna, e sempre più tardi: a 31 anni in media il primo figlio.

Capitolo istruzione. "Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia si trova in una posizione di svantaggio riguardo al livello di istruzione della popolazione". L’Istat spiega che "nel 2013 appena il 16,3% delle persone tra i 25 e i 64 anni possiede un titolo di studio universitario contro il 28,4% della media dell’Ue a 28". L’Istat spiega inoltre che "lo svantaggio permane anche quando si considerano le generazioni più giovani". Infatti, tra i 25 e i 34 anni i giovani che possiedono livelli di istruzione universitaria sono il 22,7%, contro il 36,1% della media Ue a 28. Guardando all’inserimento nel mercato del lavoro, in Italia nel 2013 tra i giovani 20-34enni che hanno concluso il percorso di istruzione e formazione (diploma e laurea), da uno a tre anni, risulta occupato il 48,3%, contro una media dell’Ue a 28 pari al 75,4%.

Crisi: tanti sacrifici, pochi risultati

"La dimensione delle manovre fiscali attuate complessivamente in Italia dal 2010 è stata notevole - scrive l'Istat - ma gli effetti sul miglioramento dei conti pubblici sono stati in gran parte limitati dal cattivo andamento dell’economia, che ha raffreddato in particolare la dinamica delle entrate". L’impatto stimato sull’indebitamento netto delle manovre fiscali risultava pari a -15 miliardi per il 2011, -75 miliardi per il 2012 e -92 miliardi per il 2013. In particolare, spiega l’Istat, durante la crisi l’aumento del rapporto debito-Pil in Italia è stato determinato principalmente dalla spesa per interessi e dalla bassa crescita economica. D’altra parte la spesa per interessi ha rappresentato la principale causa della crescita del rapporto debito-Pil in tutta l’area dell’Ue, specialmente, sottolinea l’Istituto, "in Grecia (28,1 punti percentuali) e in Italia (24,9 punti). Passando alle problematiche relative all’inflazione l’Istat evidenzia che "anche se il rischio di deflazione appare poco probabile, uno scenario di crescita molto contenuta dei prezzi costituisce per l’Italia, e più in generale per tutti i paesi maggiormente coinvolti nel processo di risanamento, un problema da non sottovalutare".

Disoccupati e povertà

A preoccupare c'è soprattutto un dato: il numero dei disoccupati in Italia è raddoppiato dall’inizio della crisi. Nel 2013 i disoccupati sono arrivati a toccare quota 3 milioni 113mila unità, pari a 1 milione 421mila unità in più rispetto al 2008. La crescita dei disoccupati è proseguita anche nell’ultimo anno: al netto degli effetti stagionali, a marzo 2014 raggiunge quota 3 milioni 248mila unità. In Italia aumentano le donne breadwinner, quelle che si occupano del sostentamento di una famiglia: crescono le famiglie con almeno una persona di 15-64 anni in cui è la donna ad essere l’unica occupata, specialmente tra le madri in coppia. La crescita riguarda 591mila famiglie (34,5% in più). Nel Mezzogiorno, al loro aumento si associa contestualmente la riduzione delle famiglie sostenute unicamente dal lavoro dell’uomo.

Secondo l'Istat ’Italia "è uno dei paesi europei con la maggiore diseguaglianza nella distribuzione dei redditi". E sempre su questo argomento si osserva che "un intervento pari all’1% del Pil, 15,5 miliardi, consentirebbe di ridurre consistentemente
il tasso di povertà". Viene indicata anche una simulazione sulle famiglie, con un beneficio di 12.175 euro l’anno per i nuclei molto poveri, ed essendo sotto forma di sussidio supererebbe lo scoglio dell’incapienza. Il reddito minimo di cittadinanza individuale, invece, costerebbe 90 miliardi, di cui 55 (61%) andrebbero a famiglie non povere. L’indicatore di povertà assoluta nè salito all’8% nel 2012; il rischio di persistenza in povertà è tra i più alti d’Europa (13,1% contro 9,7%).

Gli italiani tirano la cinghia

Molte famiglie hanno ridotto i propri livelli di consumo nel 2012 per mantenere i loro standard. Il rischio di persistenza in povertà raggiunge il 33,5% fra i nuclei monogenitori con figli minori; nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che a Nord. Gran parte delle famiglie ha un solo percettore di reddito. La fase di crisi economica ha mutato la struttura del reddito familiare: nel 2011, il 45,1% delle famiglie ha un solo percettore di reddito (42,4% nel 2007), il 41,2% ne ha due e il 12,8% tre o
più. I trattamenti pensionistici concorrono sempre più all’economia delle famiglie e tra 2007 e 2011 aumenta il contributo al reddito familiare di ogni singolo pensionato, 43% in media.

Se si considerano due milioni di famiglie senza occupati e 995mila che vivono solo con la pensione «il disagio economico delle famiglie riguarda tre milioni di famiglie". Più in generale il Rapporto rileva che l’Italia presenta una tassazione dei consumi tra le più basse d’Europa e una tassazione su lavoro e capitale tra le più alte.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica