Un patto per i nati pretermine, i bambini che vengono al mondo prima della 37a settimana di gestazione: è l’iniziativa lanciata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) in occasione della Giornata Mondiale della Prematurità celebrata ieri, 17 novembre con l’obiettivo di mettere il neonato al centro del futuro, tema strettamente legato anche al grande problema della denatalità. In questa occasione, 36 città, unite da Nord a Sud, hanno aderito all’invito della SIN e di Vivere Onlus, a illuminare di viola alcuni tra i monumenti più rappresentativi del nostro Paese sostenendo così le iniziative internazionali.
L’appello a migliorare l’assistenza neonatale in tutta Italia è rivolto a tutti coloro che sono coinvolti direttamente o indirettamente nel percorso nascita con un intervento sinergico del mondo scientifico e delle Istituzioni, per dare vita a iniziative di sostegno alla maternità e all’infanzia. Il Ministero della Salute supporta l’iniziativa con una campagna di comunicazione istituzionale attraverso uno spot televisivo realizzato insieme alla SIN, per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo problema sempre più frequente e poco conosciuto.
“È una grande sfida per la neonatologia e per la società. Per vincerla è necessaria un’alleanza fra tutti gli attori coinvolti nel percorso nascita: dalle Istituzioni ai luoghi di cura ospedalieri e del territorio, dalle università alle associazioni di volontariato e alle famiglie” spiega il professor Fabio Mosca, presidente della Società Italiana di Neonatologia, direttore del reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. “Dall'analisi della situazione e dai problemi che vedo sul campo, abbiamo la necessità, in una società proiettata al futuro e al miglioramento, che il neonato e la famiglia vengano considerati una priorità su cui investire”.
L’Italia infatti, insieme alla Spagna, è il fanalino di coda in termini di indice di fertilità (numero di bambini per ogni donna in età fertile). Il nostro dato è 1.34, uguale a quello della Spagna: siamo gli ultimi due Paesi d'Europa. In Gran Bretagna è 1.69, in Svezia 1.85, in Francia 1.92. Al calo dell’indice di fertilità corrisponde una riduzione del numero dei nati: nel 1948 i nati in Italia sono stati 1.005851, nel 1955 869.000, nel 1964 - gli anni del boom economico - 1.016.000, nel 1980 640.000, nel 2010 554.000, nel 2017 464.000.
“Negli anni si sta determinando un cambio della piramide della popolazione italiana: la base diventa sempre più stretta, con meno bambini, mentre si allarga la categoria degli over 65. Fra cinquant’anni il numero degli anziani inattivi sarà superiore al 60% di chi è in età lavorativa. Ciò impatterà sul totale delle persone in età lavorativa: un basso numero di lavoratori, unito ad un alto numero di anziani non in grado di lavorare, impedirà all’Italia di produrre il necessario per garantire a tutti i futuri italiani un sufficiente tenore di vita. Nel 2017 gli anziani sono già il 165% dei giovani 0-14 enni, e tale rapporto è previsto in crescita.
“La carenza dei giovani porterà a rendere difficilmente sostenibile l’ attuale modello di welfare. Nel 2015 ci sono stati 485.000 nati contro 647.000 morti con un saldo negativo di 161.000 persone sul totale della popolazione. Se guardiamo la popolazione straniera abbiamo avuto 72.000 nascite e 6.400 morti, con un saldo attivo di 65.000. Stiamo diventando una popolazione con una forte prevalenza di anziani, che non potrà sostenere un livello di vita economicamente analogo all'attuale, e stiamo diventando una popolazione con una componente straniera sempre più rilevante”.
“Da questo scenario deriva un altro dato - prosegue Mosca -: se si guarda all’ andamento del reddito pro capite in Italia, si osserva una riduzione, perché meno persone che lavorano significano un’ economia più piccola, con conseguente riduzione del Pil. Quindi agire sulla natalità significa, indirettamente, agire sul Pil: o si investe sulla natalità o diventeremo un Paese più povero”.
Per il presidente della SIN per invertire questa tendenza e far ripartire il circolo virtuoso, servono politiche dedicate, come avviene ad esempio in Francia che fa pagare meno, in proporzione, le tasse fino ad arrivare quasi ad azzerarle per chi ha tre o più figli. "Devono esserci politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità, fare figli costa, il lavoro spesso è insicuro e le donne oggi non pensano di mettere al mondo dei figli”.
In questo scenario problematico la Neonatologia può dare un contributo innanzitutto garantendo qualità delle cure eccellenti, in termini di mortalità neonatale e di sopravvivenza dei neonati pretermine. L’ Italia oggi è uno dei Paesi al mondo con il più basso tasso di mortalità neonatale (numero di neonati deceduti nel primo mese di vita) e si distingue per ottimi livelli di sopravvivenza anche nel neonato pretermine, come si può evincere dai dati pubblicati dal Vermont Oxford Network, nei neonati di peso inferiore a 1500 grammi. Gli ultimi dati disponibili evidenziano, infatti, una mortalità nel nostro Paese dell’11,3% rispetto al 14,3% delle più importanti Terapie Intensive Neonatali a livello mondiale. Ma per mantenere e migliorare questo livello di cura e assistenza ai prematuri servono strutture ed attrezzature moderne, medici e infermieri altamente specializzati per garantire un’assistenza individualizzata ed un mix di cure sempre più avanzate. Servono più risorse, umane e tecnologiche, serve maggiore supporto delle istituzioni nazionali e locali.
"A questi buoni dati medi nazionali si contrappone il problema del divario che ancora esiste, in termini di dati di outcome, fra Centro-Nord e Sud - aggiunge il professor Mosca -. Abbiamo più di 20 sistemi sanitari diversi fra regioni e province autonome e questo ha portato ad adottare politiche diverse. Il risultato è che, se guardiamo il tasso di mortalità neonatale, cioè quanti bambini muoiono nel primo mese di vita, ci accorgiamo che l'Italia del Centro-Nord ha un tasso di 1.16, mentre l'Italia del Sud ha un tasso di mortalità di 1.61, il che vuol dire che un neonato che nasce al Sud ha un rischio di morire del 39% più alto di quello che nasce al Centro o al Nord. E’ un problema comune anche ad altre età della vita: anche per la popolazione adulta l'aspettativa complessiva di vita è di 4 anni più alta al Nord rispetto al Sud”.
Per dare un contributo alla soluzione di questi problemi è innanzitutto necessario riorganizzare l’attuale Rete dei Punti Nascita e delle Terapie Intensive Neonatali perché non risponde più, al Nord, al Centro e al Sud, alle mutate esigenze assistenziali e alla disponibilità di risorse, carenti in particolare nelle regioni meridionali. Troppo poche le risorse dedicate alla cura del neonato prima e dopo la dimissione dalle Neonatologie, in particolare quelle umane, sia mediche che infermieristiche. La carenza di neonatologi è uno dei problemi più urgenti da affrontare per continuare a garantire il buon livello delle cure in Italia, che hanno comunque grandi differenze regionali.
“La carenza di ginecologi e di pediatri sta diventando un'emergenza a tutte le latitudini del paese. In Italia operano circa 15mila pediatri e nelle scuole di specializzazione di pediatria accedono solo 488 giovani all’ anno. Questo significa che ogni anno c’è un saldo negativo di circa 500 pediatri: il risultato sarà che nel 2030 avremo solo 8.700 pediatri, insufficienti per garantire la sostenibilità del nostro modello assistenziale pediatrico, basato su una rete ospedaliera (troppo numerosa di piccole pediatrie e di piccoli punti nascita) e sulla pediatria territoriale, spesso più attrattiva per un neospecialista in pediatria - sottolinea ancora Mosca -. Un modello che ha permesso di ottenere ottimi risultati assistenziali ma che necessita di molte risorse e di incrementare il numero di borse di specialità da finanziare, cosa difficile in un momento di ristrettezze economiche. E questo problema riguarda anche gli infermieri e si aggraverà se verranno adottate norme che favoriscono il pensionamento anticipato senza una adeguata programmazione".
C’è un modello da rivedere, insomma, ridisegnando la rete dei punti nascita e delle terapie intensive neonatali anche tenendo conto che “se un ospedale ha 300 nati in un anno, cioè meno di una nascita al giorno, considerando che gli operatori lavorano su tre turni, significa che ciascun medico-ostetrica-infermiere assisterà la nascita di meno di un bambino ogni tre giorni ed è impossibile che con questi piccoli numeri vengano acquisite le competenze ottimali. Per questo motivo tutte le società scientifiche a livello nazionale e internazionale suggeriscono che l'evento nascita deve avvenire in un ospedale che abbia almeno 500, meglio mille, nati all'anno".
"Il problema della numerosità della casistica riguarda anche le Terapie Intensive Neonatali: molte hanno un numero di posti letto e di bambini con peso sotto i 1500 grammi gestiti ogni anno, inferiore al numero ottimale, definito dall'accordo Stato-Regioni del 2010 (50-100). Oggi in Italia mediamente una Terapia Intensiva Neonatale cura 39 neonati di peso inferiore a 1500 grammi, mentre dovrebbe essere almeno di 50. Abbiamo troppe terapie intensive e troppo piccole”.
Con il lancio del Patto per i nati pretermine per mettere il neonato al centro del futuro, la Società Italiana di Neonatologia ha deciso di impegnarsi su tre punti chiave.
Il primo è garantire l’ accesso ai genitori h24 in tutte le Terapie Intensive Neonatali, oggi solo il 61% delle TIN consente un accesso h24 ai genitori, con forti disparità regionali. La presenza dei genitori nella gestione quotidiana del neonato è indispensabile per facilitare più precocemente possibile il legame con i genitori e per permettere a mamma e papà di occuparsi della care del proprio bambino nei diversi momenti della giornata. La permanenza dei genitori col neonato h24 riduce lo stress, facilita l’allattamento materno e il contatto fisico tra genitori e neonati, aiuta la famiglia a partecipare alle decisioni cliniche che riguardano il proprio figlio. “Il genitore è parte integrante nella cura, è un componente del team medico allargato e questo è realmente un bel modo per aiutare bambini e famiglie”, dice Fabio Mosca.
Il secondo punto è organizzare corsi di rianimazione neonatale per tutti i neonatologi, per assicurare la migliore assistenza possibile in sala parto in tutti i punti nascita italiani, fin dai primi importantissimi minuti di vita. Le cure nella prima ora di vita possono influenzare in modo determinante gli esiti a distanza di questi neonati estremamente vulnerabili. È fondamentale che, in questo limitato intervallo di tempo, l’équipe medico-infermieristica applichi efficacemente le linee guida di riferimento. La SIN, tra l’altro, ha anche l’intenzione di effettuare un’indagine per valutare le dotazioni di attrezzature delle isole neonatali negli ospedali italiani.
Il terzo punto è migliorare l’assistenza dopo la dimissione, con una rete di servizi di Follow-up ben organizzata e strutturata, oggi troppo eterogenea geograficamente e sottodimensionata rispetto alle esigenze.
Questi servizi sono fondamentali per proseguire le cure dopo la dimissione, ma anche necessari ad effettuare la diagnosi precoce dei disturbi neurologici e sensoriali, con un inizio tempestivo del supporto riabilitativo e abilitativo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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