Quando nominare Paolo Rossi mi salvò dai tagliagole talebani

"Conosci Paolo Rossi?". La domanda dei tagliagole islamici, che mi circondano scrutando la succulenta preda, è sorprendente.

Quando nominare Paolo Rossi mi salvò dai tagliagole talebani

«Conosci Paolo Rossi?». La domanda dei tagliagole islamici, che mi circondano scrutando la succulenta preda, è sorprendente. Nel 1998, dopo i missili lanciati da Bill Clinton sulle basi di Osama bin Laden in Afghanistan, non c'è tanto da scherzare a girare fra i talebani che da un paio d'anni hanno conquistato quasi tutto il paese a colpi di Corano e moschetto. Pablito e le sue epiche gesta calcistiche nel Mondiale del 1982 mi salvano da un brutto quarto d'ora o peggio.

A Kandahar, davanti alla vetusta reggia ottocentesca della sorpassata monarchia afghana, ciondolano nei giardini un tempo fiorenti, un centinaio di volontari della guerra santa. In gran parte pachistani, che attendono la benedizione per l'arruolamento di mullah Mohammad Omar, Amir Al-Mu'minin, il capo di tutti i credenti, leader indiscusso dei talebani insediato nella decadente reggia. Il loro sogno è venire spediti a combattere in prima linea.

Un giornalista occidentale può camuffarsi finché vuole vestendosi all'afghana con tanto di tunica, pantaloni a sbuffo, turbante e barbetta islamica, ma alla fine ti riconoscono come «infedele». Il manipolo jihadista, forse pensando che sono carne americana da ostaggio, mi circonda lentamente. La mia guida e interprete, un mezzo talebano, non si scoraggia e mette subito le mani avanti: «È un giornalista italiano». Gli occhietti vispi dei barbuti che pregustavano il sangue si illuminano di stupore. E quello che sembra un capetto pronto ad immolarsi per i talebani e Osama bin Laden esordisce con la domanda «conosci Paolo Rossi?». Ovviamente non di persona, ma era impossibile non conoscerlo di fama, anche se uno è a digiuno di calcio come il sottoscritto. E mi sembra incredibile che il nostro bomber sia una star pure a Kandahar fra i tagliagole jihadisti. Poco distante soggiorna lo stesso Osama Bin Laden in una «reggia» islamica migliore di quella del re con all'ingresso due pinnacoli e la scritta Allah o Akbar (Dio è grande).

Non c'è stato verso di chiedere qualcosa sulle aspirazioni dei volontari pachistani al martirio jihadista. L'unica concessione è «parlare dei Mondiale del 1982», come ordina perentorio il capo banda. Forse non hanno neppure chiaro dove si trovino sul mappamondo l'Italia e la Spagna, ma sono preparatissimi sulle imprese di Paolo Rossi soprattutto nelle partite storiche delle Coppa del mondo di 16 anni prima, quando gran parte dei giovani volontari non era neppure nata.

Non mi resta che far buon viso a cattivo gioco spacciandomi per un esperto di calcio e di Pablito. A tal punto che gli sgherri islamici si calmano, accoccolandosi a gambe incrociate ai miei piedi, deliziati dal racconto del lontano 1982, quando tutta Italia è scesa in piazza.

Per la prima volta avevo seguito con passione una finale dei Mondiali, sventolando per ore il tricolore in piazza dopo la vittoria. Non avrei mai immaginato che Paolo Rossi e il suo mito avrebbe affascinato anche i volontari di mullah Omar.

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