N el 1995 due ricercatori statunitensi, Betty Hart e Todd Risley, pubblicarono in un volume (Meaningful Differences in the Everyday Experience of Young American Children) i risultati di uno studio da cui sarebbe scaturito un grande (...)
(...) dibattito. Hart e Risley calcolarono in ben 35 milioni il divario fra le parole ascoltate dai loro genitori, a quattro anni, da bambini appartenenti alle due fasce socio-economiche estreme delle tre selezionate: 48 milioni le parole sentite pronunciare dai bambini più benestanti (figli di professionisti, docenti universitari, ecc.), appena 13 milioni quelle arrivate agli orecchi dei più poveri (figli di genitori bisognosi di assistenza sociale). La fascia intermedia delle tre era occupata dai figli della classe lavoratrice. Dalla ricerca dei due studiosi americani, aiutati da diversi studenti laureati che avevano trascorso un'ora ogni 15 giorni con ciascuna delle 126 famiglie tenute sotto osservazione (42 per ciascun gruppo), erano emersi, nelle forme di un forte divario culturale, i disvalori di un capitalismo delle disuguaglianze che aveva scambiato il classismo con la ristrettezza della visione del mondo. I bambini di più bassa estrazione sociale avevano rivelato un quoziente intellettivo medio di 75, di molto inferiore a quello (119) dei bambini più ricchi e sensibilmente più basso di quello (99) dei figli dei lavoratori. Pagavano in questo modo, secondo Hart e Risley, la minore esposizione alla varietà del lessico, riflessa in una minore capacità di riflessione e propensione all'analisi. In questi giorni la questione si è riaffacciata sulla stampa internazionale sull'onda di una recente ricerca collettiva, condotta all'interno del bostoniano Massachusetts Institute of Technology (Mit) Boston), che ha invece dimostrato quanto è importante dialogare con i propri figli: più che parlare a loro, come fossero ascoltatori passivi, sarebbe importante parlare con loro.
Interazioni reali, non sostituibili da giochi e giochini elettronici interattivi, in cui sembrano rivelarsi decisivi i turni di parola: nello studio dei ricercatori del Mit, che ha interessato un campione costituito da bambini compresi fra i 4 e i 6 anni di età, viene dimostrato che quel che conta, per lo sviluppo delle funzioni cognitive del bambino, non è la quantità di parole che un genitore può trasmettergli ma il numero degli scambi comunicativi che intraprende con lui. Conversiamo di più coi nostri figli; coinvolgiamoli nei nostri discorsi; lasciamoli parlare, anziché rovesciargli addosso fiumi di parole. Ne guadagnerà lo sviluppo del loro apparato cognitivo.
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