Caro lettore, se Lei avesse più di quattordici anni, come reagirebbe di fronte a qualcuno dispiaciuto di non averla potuta «accompagnare» sulla retta via? Scatterebbe subito lo slogan del primo Movimento 5 stelle, quello del «vaf», insomma. Vittorio Feltri, persona educata, si è invece astenuto con eleganza da rispondere al presidente dell'Ordine del Giornalisti, che così ha commentato la decisione del pluridirettore di dimettersi dall'organismo. Non staremo a ripetere, perché difficilmente potremmo dire meglio, quanto ha scritto il Direttore ieri, sulla gravità di aver costretto uno dei massimi giornalisti italiani ad una decisione tanto drammatica. Solo capiamo perché, nei paesi culla del giornalismo, l'Inghilterra e gli Stati Uniti, non esista alcun «ordine dei giornalisti». Perché, alla fine, se ne sei parte, devi attenerti alle sue regole: ma la libertà di stampa è tale proprio perché è libera, salvo ovviamente i vincoli posti dal codice penale, a cui il giornalista però risponde come qualsiasi altro cittadino. Nei paesi usciti dal fascismo, in cui la stampa era militarizzata, la libertà deve al contrario sempre sottostare a paletti, in questo caso corporativi (un ordine professionale è una corporazione medievale con un tutelare la libertà di parola dei suoi membri, è diventato un organo che la limita? È avvenome nuovo). Ma è solo in tempi recenti che si sono verificati gli scontri più evidenti tra quell'ente e molti giornalisti; di cui il caso di Feltri è solo una dei più eclatanti, che l'ideologia progressista, e i suoi uomini, hanno occupato quasi militarmente i gangli tra i tanti. Perché l'Ordine, invece di nuto dell'informazione, con il risultato, come spiega una recente ricerca di due studiosi della Statale di Milano, di produrre il giornalismo più spostato a sinistra di tutto il mondo occidentale. In una nazione che è da sempre, invece, una delle più politicamente moderate, una delle meno convinte dalla sinistra (la storia elettorale lo dimostra). Questo dovrebbe far riflettere i vertici dell'Ordine quando discutono di crisi del giornalismo e di calo delle vendite. In più l'ideologia della sinistra attuale non è più quella marxista di un tempo, ha abbandonato la tutela della classe operaia e dei lavoratori per difendere le minoranze: immigrati, Lgbt, islamici, persino i criminali comuni. Queste minoranze devono essere a tutti i costi «protette», anche quando sono molto violente ed aggressive. Persino al prezzo di eludere la verità, edulcorandola con parole gentili. Cosi, ecco il divieto di utilizzare il termine «clandestino», o la raccomandazione di chiamare gli immigrati «migranti».
Ecco l'imposizione di celare la nazionalità o la fede religiosa di un terrorista, pure se questi lo grida ai quattro venti prima di farsi esplodere. Ancora più preoccupante, questa tendenza orwelliana (dell'Orwell del Ministero della Verità, non a caso ricalcato sull'Urss staliniana) si sposa con la vocazione del legislatore a punire, non più solo i giornalisti ma tutti, per reati di opinione, con una dicitura tanto generica quanto priva di rigore da un punto di vista giuridico: si pensi al cosiddetto «reato d'odio». E guarda caso proprio in questi giorni il Parlamento sta discutendo una legge, contro la «omotransfobia» che, se approvata, colpirà duramente la libertà di tutti.
Stiamo all'erta perché è sempre avvenuto così: quando si imbavaglia un giornalista,
un minuto dopo tocca
a tutti noi.
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