Uno scacco troppo matto

La dittatura del politicamente corretto da pedoni e alfieri fino a Lino Banfi

Uno scacco troppo matto

Sembra una notizia del “Lercio” o di altre testate satiriche. Ma invece è la realtà che affianca la fantasia e la sorpassa. E la realtà è quella di un politicamente corretto che non si presenta più come semplice tendenza da circoli radical americani scimmiottati malamente in Europa. No, ci sono i segnali di un’ideologia che pretende di essere egemone, di orientare gusti e idee di ampi settori di opinione pubblica, vera religione laica contemporanea che mette all’Indice gli infedeli e i blasfemi. Un piano inclinato dalle inquietanti derive, che pretende non solo di dominare il presente, ma di riscrivere il passato a uso e consumo di un uomo nuovo (la cosiddetta “cancel culture”). L’ultimo episodio in ordine di tempo vede protagonisti gli scacchi. Un ritorno di fiamma di una vicenda che ha acceso la scorsa estate. Il 20 giugno 2020 John Adams, già portavoce della Federazione australiana degli scacchi, twetta: “Ho appena ricevuto una telefonata da un produttore della Abc Sydney in cerca di un commento sul gioco degli scacchi! L’Abc si è fatta l’idea che gli scacchi siano razzisti, dato che il bianco muove sempre per primo!”. Il tono dell’economista è evidentemente più sorpreso che divertito. La polemica sull’antichissimo gioco di origine indiana fa scendere in campo, pardon, sulla scacchiera i pezzi da novanta: Anatoly Karpov, leggenda mondiale tra pedoni e re, bolla la polemica come “follia totale”, domandandosi “Cosa c’entra il razzismo con questo gioco secolare?”. Il 24 giugno 2020 un altro campione, Garry Kasparov, twetta sul suo profilo: “Se sei preoccupato che il gioco degli scacchi sia razzista, per favore occupati di un altro gioco dove il nero si muove per primo, invece di apparire sciocco e di sprecare i soldi dei contribuenti in un’emittente statale per "indagare"!”, chiaro riferimento all’Abc australiana.

Ma da dove nasce questa mania? Il 21 marzo 2019, Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, il norvegese Magnus Carlsen e l’olandese Anish Giri, due giovani campioni della scacchiera, pubblicano sui social il video di una partita che si apre con la mossa del giocatore con i pezzi neri. Lo slogan occhieggia, in perfetto stile nordeuropeo: “Rompiamo una regola oggi per cambiare le menti di domani”. Addirittura! Cambiamo scacchiera, anzi campo e andiamo al cinema. Facebook ha deciso di chiudere definitivamente un gruppo pubblico, “Noi che amiamo Lino Banfi official”. Perché il famoso attore pugliese in questi tempi è tipo Giordano Bruno. E se, per fortuna, non finisce proprio lui sul rogo in Campo de’ Fiori, al bando ci vanno i suoi film. Il social network più famoso al mondo ha infatti deciso la censura ai 117mila banfaniani iscritti mettendo nel mirino le battute più famose di Lino Banfi. Ad esempio, quando il mitico Oronzo Canà da “L’allenatore nel pallone” (1984) dice “Ti spezzo la noce del capocollo” è da censurare per Facebook perché incita alla violenza. Oppure quando l’altrettanto mitico commissario Auricchio in “Fracchia la belva umana” (1981) ascolta la canzone dedicatagli dal posteggiatore con chitarra: “E benvenuti a ‘sti frocioni, belli grossi e capoccioni” e gli risponde “Non sono frocione, non mi chiamo frifrì, sono commissario e ti faccio un culo così!”: censurato, naturalmente per incitamento alle discriminazioni verso gli orientamenti sessuali. Oppure la battuta “Mi fa male il sesso” in “La ripetente fa l’occhietto al preside” (1980) dove il grande pugliese gioca con Annamaria Rizzoli sull’ambiguità “sesso- sasso”; ovviamente trattasi di incitamento sessuale proibito. Cambiamo campo, spostiamoci all’università di Edimburgo. Qui la David Hume Tower cambierà nome. Perché? Perché qualche anima bella ha rispolverato un presunto passato razzista di David Hume (1711-1776), filosofo, edimburghese, fondatore dell’empirismo e dello scetticismo, uno dei Grandi Padri del pensiero occidentale. Hume nel 1766 incoraggiò Lord Hertford, suo mecenate, ad acquistare una piantagione a Grenada, nei Caraibi. Nella quale all’epoca era naturale vi lavorassero gli schiavi di colore.

Cioè Hume non avrebbe dovuto essere razzista nemmeno 150 prima che s’iniziasse a parlare di razzismo. L’antirazzismo prima che nascesse il razzismo! La torre universitaria di Edimburgo sarà intitolata ad Africanus, alias James Beale Horton (1835-1883), scrittore nazionalista africano, nonché chirurgo, scienziato e soldato nativo della Sierra Leone. Lo ripetiamo è un fenomeno inquietante, questa pressione del politicamente corretto. Vi sono alcuni che seguono questa tendenza come se fosse una moda del momento, per posizionarsi nel mercato della comunicazione, dei media o semplicemente per non far dispiacere ai loro follower.

Poi c’è un nucleo di veri fondamentalisti, mossi da sentimenti antioccidentali, ai quali interessa il furore inquisitorio, il brivido della messa all’Indice di film, libri e qualsiasi cultura di massa ritenuta da bollino rosso, il permanente autodafè mortificatorio, la ricerca perenne di colpe inemendabili del cattivo uomo bianco. E il razzismo, le discriminazioni sessuali, quelle religiose? Beh, tutto ciò quasi sempre costituisce un ottimo alibi.

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