Uno scambio di culle divide le coscienze

In Francia un'infermiera invertì i destini di due bimbe: ora vogliono restare con chi le ha cresciute. Aprendo un caso

Manon e Sophie Serrano, madre e figlia, all'origine del caso
Manon e Sophie Serrano, madre e figlia, all'origine del caso

Roma - Giustizia è fatta. I giudici hanno messo il sigillo a una triste storia che dura dal '94 e che trascinerà i suoi effetti per molti anni ancora. Poco più di vent'anni fa in una clinica di Cannes i braccialetti identificativi di due neonate furono scambiati da una infermiera distratta o forse negligente. Le due bambine erano nate da poche ore ed erano state messe sotto una lampada a infrarossi per la cura contro l'itterizia. Nel riportarle ognuna dalla propria madre l'infermiera ha messo il braccialetto dell'una sul polso dell'altra. Le due mamme erano giovanissime e alla loro prima gravidanza. E un po' per l'emozione, un po' per l'inesperienza (e, appunto, la giovane età) non hanno condiviso con gli altri i propri dubbi. Anzi, per la verità, una delle due mamme (Sophie Serrano, che poi sarà la vera protagonista, se non eroina, di questa storia) aveva notato che la bambina che stringeva tra le braccia aveva la pelle leggermente più scura e molti più capelli in testa.

La risposta dei medici era, però, di quelle senza appello per una ragazza diciottenne: «Colpa della lampada e dell'incubatrice». Le due bambine hanno vissuto, quindi, in famiglie diverse rispetto a quelle «biologiche». Se per una delle due mamme (regolarmente coniugata) non ci sono stati altri «turbamenti», per Sophie le cose non sono andate benissimo. Dovendo crescere Manon in un piccolo paese, ha dovuto fare i conti con le malignità dei concittadini. E a quelle malignità il «padre» della ragazza non ha retto, abbandonando Sophie per presunta infedeltà. Poi, quando alla fine si sono decisi nel 2004 a fare il test del Dna, il verdetto è stato una doccia fredda per tutti. La piccola Manon non aveva geni in comune col padre ma nemmeno con la madre. Sophie ha, tuttavia, deciso di affidarsi alla Gendarmerie di Cannes solo dopo che si è sentita rispondere dai responsabili della clinica che l'unica negligenza, semmai, era sua per non essere stata in grado di riconoscere e accudire la neonata appena partorita. Quando la Gendarmerie ha ritrovato la seconda famiglia c'è stato il tanto atteso incontro tra le due ragazze e l'agnizione di due origini affatto diverse. Mai si sarebbe aspettata, la giovane Manon ad esempio, che i suoi nonni fossero arrivati dall'isola di Reunion dell'arcipelago Mascarene (Oceano indiano). Due mondi differenti, due culture e modi di vita inconciliabili.

Ma al fondo la determinazione delle due ragazze di restare ognuna nella famiglia che le ha cresciute. I problemi, però, erano a quel punto se possibile aumentati. Dalla scoperta dello scambio, Sophie e Manon sono seguite da uno psicologo e anche all'interno dell'altra famiglia non sono mancati i traumi («Non auguro a nessuno di vivere un'esperienza del genere» ha commentato Sophie). Ecco perché la decisione di ricorrere al giudice. Per chiedere un risarcimento e per sancire, soprattutto, la responsabilità oggettiva della clinica. Rispetto alla richiesta degli avvocati di parte (sei milioni di euro), i giudici del Tribunale di Grasse (una sorta di corte d'Appello rispetto ai colleghi di Cannes che hanno giudicato in primo grado) sono stati di manica stretta.

Hanno calcolato 400mila euro a ragazza e 300 mila per i genitori (in questo caso tre, visto che Sophie non è mai riuscita a far riconoscere la figlia dal marito da cui è separata) e 60 mila euro per ciascun fratello e sorella.

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