La ceramica a Seminara ha origini antichissime, discende probabilmente dalle ceramiche della Magna Grecia. È intrinsecamente legata a alla cultura delle maschere teatrali dell'antica Grecia con i suoi significati catartici. Sono altresì fondamentali i legami con la cultura millenaria della satira contro il potere, del mito di Prometeo e con le tradizioni religiose e mistiche legate al mondo della natura.
Tradizionalmente per cuocere la ceramica venivano usati i grandi forni a legna e a sanza (residuo della spremitura delle olive) che un tempo venivano utilizzati anche per la produzione di materiale edile come mattoni, tegole, fumaioli. Le tecniche di invetriatura sono rimaste quelle tipiche medioevali, esclusivamente su ingobbio a decorazione spesso graffita e con successiva verniciatura ad ossido di piombo. I colori tradizionali sono quelli preparati con l'apposita macina, mescolando il piombo cotto in una piccola fornace con gli ossidi metallici a base di rame per il verde, di ferro per il giallo, di manganese per il marrone, ai quali si aggiunge il pigmento noto come blu Sevres. Oggi sono pochissimi i ceramisti che utilizzano ancora il forno tradizionale.
Le ceramiche tipiche sono “porroni a riccio” (orci abborchiati o con ornati a rilievo a forma di riccio e di carciofo), borracce a forma di pesce usate nei pellegrinaggi e “babbuini” o “babbaluti”, fiaschi o maschere antropomorfe, le cui forme bizzarre avevano la funzione di scongiurare gli influssi maligni o di prendere in giro i soldati borbonici o i feudatari. Sono molto popolari anche le “lancelle” (anfore biansate), le “cannate” (boccali), le “vozze” (bottiglie) e i “gabbacumpari” (bevi se puoi), una brocca da vino con una serie di fori, da dove può bere soltanto chi è particolarmente abile.
Le ceramiche di Seminara venivano vendute lungo le vie dei pellegrinaggi, sulla scia della devozione alla Madonna dei Poveri, che attirava a Seminara numerosi pellegrini, ma anche grazie alla mobilità dei “pignatari” che si spostavano di paese in paese calabrese per vendere.
Secondo i dati del comune di Seminara, nella cittadina dell'Aspromonte l'usanza della lavorazione della ceramica con valenze decorative ha radici molto antiche. Di certo al tempo della redazione del Catasto Onciario, creato nel diciottesimo secolo da Re Carlo di Borbone, le botteghe di ceramica erano una delle principali attività, tanto che vi era un quartiere periferico del paese che traeva la propria denominazione dalla concentrazione delle fornaci di pignatte, che erano tutte lì per limitare i rischi d'incendi.
Sempre secondo i dati comunali nella seconda metà del 1800 la produzione di ceramiche subì un'impennata, tanto che nel 1880 si contavano ben 28 fornaci, con relativi mulini azionati a mano per la macinazione degli smalti.
Intorno al 1948, per iniziativa di Vincenzo Infantino, un insegnante laureato in Pedagogia a Messina, venne fondata una cooperativa alla quale aderirorono quasi tutti i ceramisti operanti nella cittadina, circa una sessantina.
Oggi purtroppo in città ci sono meno ceramisti di un tempo, ma ancora resistono alcuni importanti laboratori.
Tra di essi quello di Gennaro, il figlio del Maestro Paolo Condurso, il più famoso e premiato artista della ceramica di Seminara, amato da Pablo Picasso e quello del figlio di Domenico Ditto che porta avanti il laboratorio del padre.
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